Perché i Clippers hanno scaricato Chris Paul

Chris Paul lascia i Clippers in un clima di frizione crescente: tensioni con Ty Lue, critiche alla dirigenza e una squadra che lo stesso Lawrence Frank definisce brutta su entrambi i lati del campo

Chris Paul seduto in panchina

L’allontanamento di Chris Paul dai Los Angeles Clippers non è il frutto di un singolo episodio, ma l’ultima tappa di una spirale di tensioni che si trascinava da settimane. L’aspetto più sorprendente? Il distacco quasi totale con Ty Lue, con cui – secondo più fonti – il 12 volte All-Star non parlava da diversi giorni.

La frattura non nasce da questioni tattiche ma da un tema più profondo: la gestione dello spogliatoio. Paul, fedele al suo stile diretto e iper-esigente, avrebbe insistito nel chiamare alla responsabilità compagni, staff e dirigenza. Un approccio che, per qualcuno, è sinonimo di leadership; per i Clippers, in questo momento, è diventato un punto di rottura.

“Disruptive”: una parola che pesa

Secondo chi ha seguito da vicino la situazione, il comportamento di Paul veniva percepito come eccessivamente pressante, quasi destabilizzante. Un’etichetta che stride con l’immagine del veterano, ma che trova eco nelle parole di Lou Williams:

Paul, secondo l’ex Hawks, “si è preso la libertà di responsabilizzare chiunque”. La critica diretta alla dirigenza, ha aggiunto Williams, sarebbe stata “la goccia che ha fatto traboccare il vaso”.

Eppure, davanti ai media, il presidente delle operazioni, Lawrence Frank, ha scelto un registro completamente diverso: «Nessuno sta dando la colpa a Chris per le nostre difficoltà». Una frase che, più che proteggere Paul, sembra proteggere l’immagine della franchigia.

Una squadra allo sbando

Con o senza Paul, la situazione tecnica dei Clippers è critica. È stato lo stesso Frank ad ammetterlo apertamente:

In questo momento stiamo giocando una brutta pallacanestro. Siamo una cattiva squadra, su entrambi i lati del campo

Lawrence Frank

Un’analisi così dura rende più chiaro il contesto in cui la frizione con Paul è esplosa. Quando una squadra funziona, le personalità forti diventano un valore. Quando la squadra affonda, diventano un problema.

E mentre la frattura con CP3 prendeva forma, Frank ha anche blindato la posizione di Lue:

Ty Lue sarà il nostro head coach per molto tempo

Lawrence Frank

Una dichiarazione che fotografa non solo la fiducia tecnica, ma anche la volontà di evitare qualunque percezione di caos.

Un ritorno finito male

Paul era tornato ai Clippers a luglio per chiudere la sua lunghissima carriera proprio dove aveva lasciato uno dei segni più importanti della sua storia NBA. Aveva accettato un ruolo ridotto – 14 minuti di media, 2.9 punti, 3.3 assist – con la consapevolezza che non sarebbe sceso in campo ogni notte.

Il piano sembrava semplice: portare leadership, leggere le partite dalla panchina, guidare un gruppo che ambiva a ritrovare stabilità. La realtà è stata diversa: anziché ritrovare la serenità del passato, Paul si è ritrovato nel mezzo di un ambiente già teso, dove la sua voce, invece di essere un riferimento, è diventata un detonatore.

Un addio che non chiude il cerchio

L’allontanamento di Chris Paul apre più domande che risposte.
È stato sacrificato per tranquillizzare lo spogliatoio? Il suo approccio era davvero diventato ingestibile? O la sua voce era scomoda perché sottolineava problemi che la squadra non sapeva affrontare?

Quel che è certo è che il suo rientro “a casa” non ha avuto il finale che lui – e molti tifosi – immaginavano.

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