Il nuovo limite minimo delle 65 partite in NBA: ecco cosa c’è dietro

Il caso Joel Embiid ha acceso molte polemiche sul nuovo limite minimo introdotto quest’anno.

Joel Embiid Injury

L’8 febbraio 2023 venivano accettate dalla NBPA – l’associazione giocatori della NBA – le nuove regole per far fronte al “load management(la tendenza delle squadre NBA a far riposare fin troppo le loro superstar per evitare sovraccarichi fisici).

Ora, a meno di 4 mesi dall’inizio della stagione, diversi episodi controversi e alcune dichiarazioni degli stessi giocatori hanno messo in dubbio la validità di questi cambiamenti.

Quali sono le nuove regole?

A partire dalla stagione 2023-24, secondo il nuovo CBA (collettive bargaining agreement), gli atleti NBA dovranno giocare almeno 65 delle 82 partite di regular season per poter vincere i premi individuali di fine stagione – come l’MVP o il DPOY – ed essere inseriti nei quintetti All-NBA o All-Defensive.

Per quanto sia frustrante per un giocatore di quel livello perdere un premio così importante come l’MVP, la cosa che probabilmente tocca di più gli atleti NBA è la sfera economica: l’inserimento o meno nei quintetti di fine stagione cambia notevolmente il valore dei contratti che possono firmare.

Come cambiano i contratti

Come funziona per i rookie:

I giocatori selezionati al primo giro del Draft (posizioni 1-30) firmano dei contratti garantiti per i primi 2 anni che potranno essere prolungati dal terzo anno in poi. Per i giocatori che hanno firmato un rookie contract, la cifra massima alla quale potranno prolungare sarà il 25% del salary cap (tetto salariale) complessivo della squadra – che nel 2024 equivale a circa 35 milioni di dollari.

I giocatori che nel corso delle prime 4 stagioni in NBA dimostreranno di essere già delle star potranno firmare il cosiddetto supermax, ovvero un contratto che arriva fino al 30% del salary cap ($42.3 milioni). Per far ciò, dovranno necessariamente raggiungere almeno uno dei seguenti obiettivi:

  • 2 selezioni nel Team All-NBA (primo, secondo o terzo)
  • 2 selezioni da titolare all’All-Star Game
  • 1 premio di MVP

Come funziona per i veterani:

I giocatori che hanno giocato almeno 7 stagioni in NBA possono firmare dei supermax dal valore massimo del 35% del salary cap complessivo ($49.3 milioni). Anche qui la sola volontà della squadra non basta: l’atleta in questione dovrà avere almeno uno dei seguenti requisiti per poter firmare alla massima cifra possibile:

  • 1 selezione nel Team All-NBA (primo, secondo o terzo) nella stagione precedente a quella del rinnovo
  • 1 premio di DPOY nella stagione precedente oppure 2 nel corso delle 3 stagioni precedenti
  • 1 premio di MVP nel corso delle 3 stagioni precedenti

Stabilito questo, è abbastanza facile comprendere per quale motivo il limite minimo delle 65 partite sia importante per decine di giocatori oltre a quelli in corsa per i premi individuali più ambiti.

Cosa ne pensano i giocatori

Il caso Embiid

Il fatto che a firmare questo accordo sia stata proprio l’associazione giocatori non dovrebbe lasciare molti dubbi, ma in realtà non è così sbagliato credere che i giocatori in questione siano stati quasi obbligati a prendere questa decisione.

Dopo l’infortunio di Joel Embiid, che di fatto lo ha tagliato fuori dalla corsa al premio di MVP, il suo compagno Paul Reed ha rilasciato delle dichiarazioni piuttosto pesanti:

Io non l’ho firmato. Non mi ricordo di aver firmato alcun foglio… credo che l’unione l’abbia firmata. Non credo che abbiano avuto altra scelta se devo essere onesto. E’ una decisione dura visto che aggiunge pressione sui giocatori, molta pressione soprattutto su giocatori (come Embiid) che stanno cercando di vincere un altro MVP.

Paul Reed a “The Athletic”

E se è vero che l‘infortunio di Embiid è stato causato direttamente dalla botta subita da Jonathan Kuminga e non da un riacutizzarsi del problema al ginocchio che lo aveva tenuto fuori, la soglia delle 65 partite lo ha costretto a tornare in campo prima del previsto pur di rimanere in corsa per il suo secondo MVP consecutivo.

Sarebbe andata diversamente se non avesse avuto fretta di tornare in campo? Questo non lo sappiamo, ma nessuno dovrebbe essere costretto a giocare se non è al 100%, soprattutto quando si parla di atleti di questo calibro.

Il caso Haliburton

Quarantuno milioni di dollari.

Tyrese Haliburton aveva saltato solamente tre partite prima dell’infortunio subìto alla coscia ad inizio gennaio nella gara contro i Celtics, mentre da lì in poi non è sceso in campo in 10 delle successive 11 partite dei suoi Pacers.

L’ex Kings è definitivamente esploso in questa stagione, partendo meritatamente titolare nella Partita delle Stelle, eppure – dopo il prolungamento del contratto firmato la scorsa estate (5 anni, $204 milioni) – Tyrese potrebbe perdere ben 41 milioni di dollari se dovesse saltare altre 4 partite.

Ebbene sì perché il suo max contract potrebbe trasformarsi in un supermax proprio grazie a ciò che abbiamo detto prima. Nel suo caso la selezione nel quintetto NBA – che quest’anno sembra abbastanza scontata visto la stagione mostruosa giocata finora – sarebbe la seconda nel corso dei suoi primi 4 anni nella lega.

Credo sia una regola stupida, come molti altri giocatori, ma questo è quello che vogliono i proprietari, noi dobbiamo fare il nostro lavoro e giocare 65 partite se riusciamo.

Tyrese Haliburton a “The Athletic”

Lo stesso Tyrese ha poi dichiarato nel corso del podcast “The Old Man and The Three” con J.J. Redick che queste restrizioni lo hanno spinto a giocare anche in condizioni fisiche non ideali:

Mi sono sentito in dovere di tornare prima del previsto? Sì, senza dubbio. Non perché me l’ha detto lo staff medico, ma per i milioni di dollari che avrei perso. Quando sono tornato in campo lo staff mi ha dato l’ok ma probabilmente senza questa regola avrei aspettato altre due partite per essere al 100%.

Tyrese Haliburton

Perché proprio quest’anno?

Negli ultimi anni la piaga del “load management” aveva fatto storcere il naso a molte persone, partendo da quelle più in alto come i proprietari delle emittenti televisive – che spendono miliardi di dollari per accaparrarsi i diritti delle partite NBA – per poi arrivare anche a noi tifosi e spettatori.

La NBA è sempre stata più business che sport, molto più spettacolo e meno passione rispetto allo sport europeo, che nonostante i cambiamenti ha comunque conservato più autenticità e amore vero e proprio da parte dei tifosi rispetto a quello americano. E se un campionato si basa sullo spettacolo è normale che gli spettatori, come a teatro, vorranno vedere gli attori principali sul palco e non le “comparse”.

Il “customer”, ovvero lo spettatore pagante, è il motore che muove tutto il mondo della NBA (soprattutto economicamente) e per questo le sue richieste devono essere accontentate il più velocemente possibile. In questa ottica, non è un caso che i cambiamenti siano stati fatti proprio nell’anno precedente a quello del nuovo contratto televisivo che firmerà la NBA tra pochi mesi.

Dal 2016 al 2025 la NBA ha guadagnato circa 24 miliardi di dollari dalla vendita dei diritti televisivi. Dal 2025 al 2030 si stima che la NBA guadagnerà circa 75 miliardi di dollari dagli stessi diritti televisivi.

Negli ultimi 10 anni la NBA ha guadagnato 24 miliardi di dollari mentre solo nei prossimi 5 ne ricaverà il triplo… è facile comprendere per quale motivo la presenza dei giocatori più importanti sia un punto fondamentale per il futuro economico dell’intera lega.

Quindi… sta funzionando davvero?

Difficile dare una risposta definitiva visto che quasi nulla è solo bianco o nero quando si parla di argomenti così grandi e che toccano così tante sfere diverse. Se la guardiamo dal lato degli spettatori, ovvero il nostro, c’è da dire che i cambiamenti stanno senza dubbio funzionando:

La scorsa stagione, prendendo in esame il periodo ottobre-gennaio, i migliori 50 giocatori della NBA (in base al box plus/minus) saltarono ben 595 partite complessive.

Quest’anno, prendendo in esame lo stesso identico periodo, le partite saltate sono scese a 406 (381 escludendo la sospensione disciplinare di Ja Morant). Non erano mai state così poche nell’arco delle ultime 7 stagioni.

L’obiettivo principale è stato sicuramente raggiunto, anche se ovviamente – come al solito – non sono mancati gli effetti collaterali come l’infortunio di Embiid e le polemiche dei diretti interessati. Sarà interessante vedere come verrà gestita questa problematica nei prossimi anni, magari in occasioni in cui chi dovrebbe vincere l’MVP avrà giocato 64 partite invece di 65.

In ogni caso, un cambiamento da introdurre quasi necessariamente sarebbe quello di lasciare più libertà economica alle franchigie: se i Pacers credono che Haliburton valga quel contratto perché non lasciargli la possibilità di firmarlo anche se dovesse rimanere fuori dai quintetti?

Ci sono inevitabilmente molte conseguenze – spesso anche inattese – quando si introducono cambiamenti di questa portata. Sicuramente ci saranno tanti piccoli dettagli da limare nei prossimi anni, ma al momento possiamo dire con certezza che almeno finora questa nuova regola è stata decisamente positiva per i tifosi come noi.

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