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The “Double Nickel Game”: i 55 punti di Michael Jordan al Madison 29 anni fa

La storia dei 55 punti di Michael Jordan al suo ritorno al Madison Square Garden

28 marzo 1995, la Grande Mela si prepara ad accogliere Michael Jordan per la prima volta dal suo ritorno in NBA.

A 21 mesi di distanza dalla sua ultima partita giocata in maglia Bulls, MJ era tornato dal suo (primo) ritiro dal basket – annunciato con il celebre fax “I’m Back” – il 18 marzo del 1995.

Per alcuni si trattò di una sospensione obbligata di 18 mesi in cui Michael si allontanò dal suo vizio del gioco, che soprattuto nella stagione 1992-93 aveva leggermente macchiato la sua immagine pubblica – fino a quel momento intonsa e impeccabile.

Per molti altri – inclusi il compianto David Stern, allora commissioner, e ovviamente Michael – fu solamente una pausa, più che necessaria, per ritrovare la voglia di vincere e l’amore per il basket. Specialmente dopo un’estate che l’aveva devastato emotivamente, con il ritrovamento del corpo dell’amato papà James sulle sponde di un lago in South Carolina.

Probabilmente non sapremo mai quale sia la versione più vicina alla realtà dei fatti, ma quel che è certo è che Jordan tornò in campo con il numero 45 invece del solito 23.

“Non volevo indossare il 23 perché sapevo che mio padre non era lì per vedermi. Mi sembrava fosse un nuovo inizio”

Michael Jordan in “The Last Dance”

World’s most famous arena

La sera di quel 28 marzo 1995 il Madison Square Garden è ovviamente sold out, ma non per i Knicks – che comunque stavano giocando un’ottima stagione. I cartelloni di Times Square recitano: “Bulls over Broadway“. L’attrazione numero 1 di New York si chiama Michael Jeffrey Jordan.

…everybody who was anybody was there“. Chiunque fosse qualcuno di importante era lì per vederlo. E ovviamente, come nelle grandi opere, i protagonisti brillano sui palcoscenici più importanti. In questo caso un Madison Square Garden gremito e con i biglietti che a poche ore dalla partita erano stati rivenduti a più di mille dollari l’uno.

MJ was back in the Mecca.

L’arduo compito di marcare Jordan fu affidato a John Starks. Un metro e 96 per 81 chilogrammi. La guardia di New York non era per niente un brutto difensore (inserito nel secondo quintetto difensivo solamente due anni prima). Sicuramente si trattava dell’unico nella rosa dei Knicks che potesse riuscire quantomeno a limitarlo, soprattutto per caratteristiche fisiche.

Starks, però, capì presto che quella non sarebbe stata una serata così divertente.

Jordan iniziò segnando due canestri dalla media nei primi due minuti – solo nylon – confezionati con la sua solita e sovrannaturale capacità di rimanere sospeso in aria più a lungo di chiunque altro.

Chiuse il primo quarto a quota 20 punti con 9 su 11 al tiro e continuò a martoriare il povero Starks per i seguenti due quarti, mentre il Madison Square Garden continuava quasi ad esultare ad ogni canestro, completamente soggiogato.

Secondo il dizionario Treccani la sindrome di Stoccolma è un “particolare stato psicologico che può interessare le vittime di un sequestro o di un abuso ripetuto, i quali […] cominciano a nutrire sentimenti positivi verso il proprio aguzzino che possono andare dalla solidarietà all’innamoramento“. Parole che descrivono abbastanza fedelmente il rapporto che molti tifosi Knicks avevano nei confronti di Jordan durante gli anni ’90.

Dal 1989 al 1993 i New York Knicks avevano incontrato i Bulls in una serie di Playoff ben 4 volte. Uscendo sconfitti in tutti e 4 gli incroci, con Michael Jordan che chiuse rispettivamente con 36, 29, 31 e 32 punti di media le serie giocate.

I Knicks vinsero solamente nelle Semifinali di Conference del 1994, l’unico anno in cui i Bulls erano senza il loro numero 23.

Nonostante i precedenti infelici per la tifoseria di New York, tutti i 19.763 presenti al MSG quella sera applaudirono la guardia da North Carolina durante l’introduzione delle squadre.

L’allora reporter di NBAonTNT Craig Sager, a pochi minuti dall’inizio del quarto periodo, chiese alla leggenda dei Knicks Earl Monroe cosa avrebbe fatto per fermare Michael Jordan nell’ultimo quarto (visto che fino a quel momento ne aveva segnati 49).

Beh, prima di tutto, non l’avrei fatto scendere dal pullman una volta arrivato al palazzetto

Earl “The Pearl” Monroe

Probabilmente non sarebbe stata una brutta idea per New York, forse l’unica che gli avrebbe assicurato la vittoria contro un Jordan venuto al Madison per dare spettacolo e ricordare al mondo intero chi fosse davvero, anche col 45 sulla schiena.

Il quarto quarto

A 32 secondi dalla fine il punteggio è sul 109 pari. Possesso Bulls: palla a Michael.

Partenza a sinistra, cambio di mano, destra, destra, destra, finta che manda Starks per aria, tiro: solo rete. 111-109 Chicago.

Pat Riley – allora allenatore dei Knicks – chiama timeout e si gira verso la panchina dei Bulls, con un’espressione in volto che dice chiaramente: “Ma questo quand’è che lo sbaglia un tiro decisivo?“.

Per fortuna c’è ancora tempo sul cronometro e dopo soli 10 secondi proprio John Starks si guadagna (con una chiamata piuttosto dubbia) due tiri liberi. Due su due, si torna pari 111-111. Spike Lee esulta compiaciuto a bordocampo.

Timeout obbligato per Chicago. Phil Jackson scarabocchia qualcosa sulla lavagnetta, ma probabilmente lo schema sarà lo stesso di sempre quando i Bulls sono in queste situazioni: “Get the ball to Michael, everybody get the f*ck out of the way“.

E infatti, con 14.6 secondi sul cronometro la palla va a Michael.

Jordan supera la linea di metà campo e inizia a guardare il cronometro che corre. Nei pressi della linea da tre fa finta di partire con la destra in penetrazione per poi fermarsi immediatamente con un crossover devastante, che costringe Starks a gattonare pur di rimanere in piedi.

Palleggio con la sinistra, virata a destra, salto per tirare col suo classico fadeaway, ma l’aiuto di Ewing gli sbarra la visuale e così scarica un cioccolatino per Wennington che deve solo appoggiare due punti.

113-111 Chicago. Michael esulta col suo solito pugno destro chiuso mentre Pat Riley sembra volersi strappare la cravatta dal collo.

Con poco più di 3 secondi sul cronometro i Knicks devono inventare qualcosa, almeno un tiro da due per mandare la gara ai supplementari.

Dalla rimessa la palla va a Starks, che prima scivola e poi commette la più banale delle infrazioni di campo. La palla torna così ai Bulls, che devono solamente rimetterla in gioco per far passare gli ultimi decimi che rimangono sul cronometro.

Il punteggio finale recita 113 a 111 per Chicago.

Cinquantacinque

Michael chiude la gara con 55 punti.

Da lì il famoso soprannome Double Nickel – verosimilmente coniato da Spike Lee, che come al solito era in prima fila. Nello slang americano degli anni ’80 e ’90, infatti, il numero cinquantacinque era definito “double nickel” perché con la parola “nickel” ci si riferiva alla moneta da ‘5 cent’ (fatta appunto di nichel).

Cinquantacinque punti al Garden, con gli occhi del mondo addosso… come al solito, del resto. Ancora una volta una gara vinta grazie al suo totale controllo emotivo, tecnico e mentale delle partite.

Perché sì, i 18 mesi in cui si era dedicato al baseball lo avevano cambiato – soprattutto fisicamente – ma quello era pur sempre Michael Jordan.

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