L’evoluzione dell’NBA Most Valuable Player
La percezione dell’MVP è notevolmente cambiata nel corso dei 78 anni di storia della NBA, adattandosi alle esigenze e alle tendenze proprie di ogni epoca
Nel corso degli anni, dagli albori fino ai giorni nostri, i criteri d’assegnazione del premio di MVP sono mutati radicalmente nel tempo, ma soprattutto a cambiare è stato il principio che sta alla base del suddetto titolo, principalmente in relazione all’evoluzione che ha avuto il gioco della pallacanestro durante le sue varie ere.
Vediamo insieme nel dettaglio di che cosa si tratta e perché ciò è accaduto.
Prima di tutto, l’NBA Most Valuable Player Award (o MVP Award) è il premio conferito dalla National Basketball Association al miglior giocatore della regular season. Tale titolo, fu assegnato per la prima volta a Bob Cousy nella stagione 1955-1956, tuttavia a partire dalla stagione 2022-23, l’MVP ha preso il nome di Michael Jordan Trophy, proprio in onore della leggenda dei Chicago Bulls con la canotta n°23.
Nonostante la Lega non abbia mai dichiarato ufficialmente quali siano i parametri oggettivi per poter vincere concretamente l’MVP, tuttavia essa ha specificato i requisiti necessari per poter concorrere al tanto agognato premio. Per esempio, è stato chiarito che un dato giocatore debba disputare almeno 65 partite stagionali di regular season per poter essere votato al termine di essa.
Le fasi storiche dell’MVP
Inizialmente, il premio di Most Valuable Player veniva consegnato al cestista più forte del mondo. Dopodiché, affinché non fossero sempre gli stessi a ricevere il premio ogni anno, si decise di premiare il miglior giocatore della stagione. Nelle ultime annate invece, la Lega ha deciso di premiare con maggiore frequenza, il miglior giocatore della squadra migliore dell’intera NBA.
Basterebbe pensare che, durante i primi 25 anni dell’NBA, si spartirono ben 15 titoli di MVP i soli Wilt Chamberlain (4), Bill Russell (5) e Kareem Abdul-Jabbar (6). Successivamente, con l’avvento dei vari Magic Johnson (3) e Larry Bird (3) prima, oltre che di Michael Jordan (5) poi, la Lega continuò ad essere monopolizzata in lungo e in largo, lasciando solamente 7 premi agli altri giocatori sino ai primi anni ’00.
Dal quel momento, l’ex Commissioner NBA David Stern cercò uno stratagemma per riuscire a diversificare con più continuità i possibili vincitori, modificando appunto il criterio di assegnazione dell’MVP, che iniziò ad essere assegnato al miglior cestista della stagione. Per esempio, Steve Nash fu premiato ai danni di Kobe Bryant, il quale aveva singolarmente dei numeri migliori rispetto al canadese, che però si distinse coi Suns, portandoli a dei livelli mai raggiunti prima.
Per la prima volta, venne presa in considerazione anche l’importanza in termini di “valuable” di un dato cestista per la squadra in cui giocava; tuttavia, basterebbe pensare anche che LeBron James, probabilmente il miglior giocatore della storia, non abbia ricevuto alcun premio di MVP nel corso dell’ultima decade, nonostante sia stato di gran lunga il più forte in assoluto, per distacco.
Nelle ultime stagioni, l’attuale Commissioner NBA Adam Silver ha deciso che sarebbero state favorite nelle votazioni finali per l’MVP, tutte quelle stagioni viziate da anomalie statistiche, come per Russell Westbrook nel 2017 e Nikola Jokic nel 2022. Ma ad oggi, possiamo tranquillamente affermare che quasi tutti gli ultimi vincitori del titolo, sono stati i migliori giocatori della regular season, nella squadra migliore della stagione.
Questo è ancora il caso del Joker, fresco trionfante la settimana scorsa, per la terza volta negli ultimi 4 anni, del titolo di Most Valuable Player; con lui, anche il Giannis Antetokounmpo del biennio 2019-2020. In conclusione, possiamo dire con assoluta certezza che l’essenza dell’MVP è cambiata sotto tantissimi punti di vista, ma potrebbe pure essere in continuo divenire, a dimostrazione della fluidità della NBA.