NIL, il caso Gillespie: quando restare al college conviene più della NBA

Il NIL ha cambiato in modo drastico il futuro di molti giocatori, e il caso dei Gillespie dimostra che restare al college potrebbe essere la scelta economicamente più saggia

March Madness Final Four NCAA

Negli ultimi anni, il panorama del basket collegiale americano è stato profondamente rivoluzionato dall’introduzione degli accordi NIL (Name, Image & Likeness). Queste normative permettono agli atleti universitari di monetizzare il proprio nome e la propria immagine, garantendo loro una fonte di sostentamento economico anche nel caso in cui non riescano a sfondare tra i professionisti.

L’obiettivo originario era chiaro: premiare il merito sportivo a livello collegiale e offrire un supporto concreto agli atleti che, pur brillando in NCAA, non riuscivano ad arrivare in NBA. Tuttavia, col passare del tempo, la situazione è andata rapidamente fuori controllo, creando distorsioni economiche sempre più evidenti.

Oggi, giovani stelle del college come Cooper Flagg, considerato un predestinato, o Paige Bueckers – simbolo del basket femminile NCAA – si trovano di fronte a un paradosso: guadagnano (o guadagnerebbero) molto di più restando al college, grazie agli accordi NIL, piuttosto che candidarsi al Draft e firmare un contratto NBA. Se per nomi destinati a un futuro solido tra i professionisti la differenza può essere marginale, per i prospetti di fascia media il discorso cambia drasticamente.

Emblematico il caso dei “due Gillespie”. Collin, attualmente con un contratto two-way ai Phoenix Suns, incassa circa 560mila dollari all’anno, cifra che – per quanto importante – è ben lontana dai milioni garantiti da un contratto standard NBA. Dall’altra parte, Jakobi Gillespie, giovane guardia in forza a Tennessee, percepisce oltre 3 milioni di dollari annui grazie agli accordi NIL. Una sproporzione che lascia poco spazio a interpretazioni.

Il rischio, sempre più concreto, è che il college diventi la vera destinazione finale per molti talenti, che preferiranno restare nel circuito NCAA piuttosto che affrontare l’incertezza (e i guadagni inferiori) dei primi anni da professionisti. Un fenomeno che, nel lungo periodo, potrebbe alterare gli equilibri stessi del passaggio tra basket collegiale e NBA.

Il sistema NIL, nato con buone intenzioni, si sta così trasformando in una sorta di comfort zone dorata, capace di trattenere i talenti e ridefinire le priorità economiche e sportive delle nuove generazioni. E il paradosso dei Gillespie è solo la punta dell’iceberg.

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