I numeri smentiscono Jokic: il vero motivo del fallimento dei Nuggets

Nikola Jokic parla di rotazioni, ma i numeri smentiscono: Denver ha perso per colpa di Jamal Murray, Michael Porter Jr e di un attacco poco lucido nei momenti decisivi

Russell Westbrook e Nikola Jokic in maglia Denver Nuggets

Dopo la bruciante eliminazione in Gara 7 contro i Thunder, Nikola Jokic ha provato a indicare una possibile causa del crollo. Una riflessione comprensibile a caldo, ma che non trova reale fondamento nei numeri e nei confronti con le altre contendenti ai playoff NBA.

Le squadre che stanno andando avanti hanno rotazioni lunghe. Indiana, Minnesota, OKC: sono costruite per reggere questi momenti

Nikola Jokic

Guardando ai dati, emerge chiaramente che la profondità delle rotazioni non è stata il vero ostacolo per Denver. I campioni NBA del 2022 ruotano 8 giocatori, esattamente come Golden State e Minnesota. OKC e Boston arrivano a 9, ma con l’inserimento saltuario di elementi marginali come Scheierman o Jaylen Williams. Insomma, nessuna delle squadre in corsa sta realmente facendo leva su rotazioni particolarmente lunghe.

In più, la panchina dei Nuggets può contare su un nome di peso come Russell Westbrook. L’ex MVP, pur deludendo offensivamente nel corso della serie, ha offerto un contributo difensivo di alto livello, arrivando a non concedere nemmeno un canestro da tre agli avversari diretti. Non esattamente il profilo di un comprimario qualsiasi.

E se da un lato la second unit è composta più da specialisti di energia e intensità che da realizzatori, Denver ha il vantaggio di un quintetto capace di portare stabilmente tutti i suoi componenti in doppia cifra. Un equilibrio offensivo che dovrebbe sopperire, almeno in parte, a una panchina meno produttiva.

Il vero nodo, semmai, è stato l’apporto altalenante – e in alcuni casi deludente – di alcuni protagonisti chiave. Jamal Murray ha chiuso Gara 7 con soli 13 punti e 6/16 al tiro, mentre Michael Porter Jr ha spesso faticato a entrare realmente in partita, restando troppo spesso sotto la doppia cifra.

A dare una scossa ci ha provato Aaron Gordon, che ha giocato sopra un infortunio che avrebbe richiesto uno stop di un mese: uno sforzo eroico che, però, non è bastato.

La conclusione, allora, è piuttosto chiara: la questione delle rotazioni è più una narrazione che un problema concreto. A condannare Denver è stata la mancanza di continuità da parte di chi, sulla carta, avrebbe dovuto fare la differenza.

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