Perché Julius Randle è il simbolo dei T’Wolves nei Playoff NBA
Julius Randle è il simbolo di questi Minnesota Timberwolves: talentuosi, imprevedibili e pieni di contraddizioni

Se si prende con il giusto distacco la follia collettiva di Gara 3 – quella in cui i Timberwolves hanno vissuto la proverbiale serata della vita – emerge un dato curioso e rivelatore sul loro miglior giocatore di questi Playoff: Julius Randle.
Già, proprio lui. L’ex Knicks, spesso discusso per la sua incostanza, sta trovando una dimensione più centrale nel sistema di Chris Finch grazie a un coinvolgimento offensivo più marcato. Il pallone passa spesso dalle sue mani, e l’aumento di responsabilità in fase di creazione gli sta permettendo di prendersi più tiri e incidere maggiormente sul piano statistico.
Julius è stato fantastico. Stamattina abbiamo chiacchierato, gli ho detto: ‘Ehi amico, finora hai avuto solo una partita sotto tono nei playoff. Sono stato estremamente orgoglioso della sua risposta oggi
Coach Finch dopo gara 3
Il rovescio della medaglia, però, è piuttosto evidente. La storia della carriera di Randle è costellata da problemi di efficienza. Non a caso, il numero 30 figura al 16º posto all-time per media di palle perse a partita nei Playoff: ben 3.6. Un dato che racconta molto del tipo di giocatore che è, capace di generare tanto ma anche di perdere spesso il filo del gioco.
Inserito in un contesto già complicato come quello dei Timberwolves, dove anche Anthony Edwards – per quanto talento purissimo – fatica a mantenere costanza e lucidità, Randle diventa l’incarnazione perfetta del compromesso tecnico e tattico. Minnesota alterna momenti di grande pallacanestro a blackout inspiegabili, e non è un caso: la squadra vive sulle fiammate dei suoi singoli, senza una vera bussola che ne orienti il gioco nei momenti chiave.
Eppure, questa instabilità non è frutto di una scelta, ma piuttosto della mancanza di alternative. Il roster non offre altri creatori affidabili, e così Randle, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti, diventa un male necessario. Una soluzione imperfetta, ma inevitabile, per restare competitivi in una corsa Playoff che non fa sconti.