Dalla cravatta al quarter-zip: come la comodità ha conquistato le panchine NBA

Anche l’eleganza sotto i riflettori dell’attenzione dell’NBA! Lo stile dei coach anche nelle ultime finals ha attirato l’occhio.

Steve Kerr, coach dei Golden State Warriors, durante un match di Regular Season

La corsa all’anello è sempre al centro dell’attenzione. Ogni anno, milioni di tifosi seguono con il fiato sospeso la battaglia per il titolo NBA, commentano ogni partita e si dividono su chi meriti di vincere. Anche i bookmakers non restano certo a guardare: le quote cambiano in continuazione, spinte da ogni infortunio, ogni vittoria a sorpresa, ogni colpo di scena. Tutto, nell’NBA, finisce sotto i riflettori. Ma a volte basta guardare un po’ più in là, magari qualche metro fuori dal campo, per accorgersi che qualcosa sta cambiando anche dove nessuno si aspetta grandi rivoluzioni.

Un esempio? Gli allenatori. Una volta li vedevamo tutti in giacca e cravatta, eleganti e formali. Oggi, invece, in panchina spopolano felpe tecniche, maglie quarter-zip e sneakers abbinate al resto dello staff. Un look più comodo, più sportivo, che si è fatto strada in silenzio e ora sembra essere diventato la nuova normalità. Un cambiamento che all’inizio poteva sembrare solo temporaneo, ma che oggi è parte del volto moderno dell’NBA.

La scintilla nella “bolla” del 2020

L’estate più strana della storia recente del basket, quella giocata a porte chiuse a Disney World, ha riscritto anche il dress code. Per combattere l’afa di Orlando e semplificare la logistica, la lega concesse ai coach di sostituire il completo con polo o t-shirt di squadra, a patto che l’intero staff vestisse in modo uniforme. Quella deroga, pensata come temporanea, è diventata permanente quando il campionato è tornato nei palazzetti: nessun tecnico ha più ripreso la cravatta da allora.

Il sondaggio dei tecnici: l’80% vota casual

Una volta archiviata l’emergenza, la National Basketball Coaches Association ha chiesto ai suoi membri se volessero tornare alla tradizione. La risposta? Oltre l’80% di head coach e assistenti ha preferito restare in tuta, percentuale ribadita più volte dal presidente Rick Carlisle. Nel 2024, l’esperimento ha toccato il suo apice: tutti e 16 gli allenatori presenti ai playoff hanno guidato la squadra in abbigliamento tecnico, senza nemmeno un blazer sul parquet.

Perché la tuta vince sul completo

Non si tratta solo di stile. Dietro la scelta si nascondono ragioni pratiche e, talvolta, economiche:

  • Tempo risparmiato: decidere cosa indossare diventa un non-problema nei tour de force di trasferte ravvicinate.
  • Uniformità visiva: staff vestiti allo stesso modo trasmettono coesione e aiutano i giocatori a individuare i riferimenti a colpo d’occhio.
  • Costi contenuti: un quarter-zip Nike con logo ufficiale si acquista sullo store NBA per meno di 95 dollari, molto lontano dai prezzi di un abito sartoriale.

Il paradosso è che questa parsimonia di guardaroba convive con salari sempre più alti: nel 2025 lo stipendio mediano di un head coach tocca quota 7 milioni di dollari, con punte oltre i 17 per Steve Kerr.

Un modello che contagia (quasi) tutti gli sport

La “sformalizzazione” sconfina oltre l’NBA. Nel calcio europeo cappellini e felpe sono ormai la norma, mentre March Madness genera dibattiti su quarter-zip e nostalgici della giacca. Eppure qualche nicchia resiste: la Serie A celebra ancora l’eleganza di pochi tecnici latino-americani, e nel baseball le uniformi continuano a raccontare un’altra storia. Finché non tornerà una tendenza opposta, magari spinta dal marketing o dalla nostalgia per l’era Pat Riley, cravatta e gilet resteranno ai margini del parquet.

Nel frattempo, le Finals 2025 ci mostrano Rick Carlisle e Mark Daigneault in tuta coordinata da meno di 200 dollari complessivi, intenta a segnare schemi su una lavagnetta digitale. Un’immagine che sintetizza perfettamente la nuova filosofia: meno passerella, più praticità. Se contano solo i possessi decisivi, l’abito non fa più il coach.

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