“Pay Us What You Owe Us”: la battaglia economica della WNBA

Durante l’All-Star Game, le stelle WNBA hanno lanciato un messaggio forte: ma cosa c’è dietro quella maglia nera?

WNBA: All Star Game-Team Collier at Team Clark

Il messaggio è stato chiaro, diretto e impossibile da ignorare. Durante il recente All-Star Game della WNBA, tutte le giocatrici convocate hanno sfilato indossando una maglia nera con una scritta ben visibile: “Pay Us What You Owe Us”.

Tradotto: pagateci ciò che ci spetta. Uno slogan che, nel giro di poche ore, ha fatto il giro del mondo sportivo e non solo, diventando il simbolo di una battaglia che le atlete portano avanti da anni: quella per un compenso più equo.

La questione salariale e il nuovo contratto collettivo

Il riferimento è al nuovo contratto collettivo che dovrà essere negoziato entro il 2027 tra la lega e l’associazione delle giocatrici. Al centro del dibattito: la distribuzione dei ricavi, in particolare quelli provenienti dai diritti TV, e più in generale l’intera gestione economica del prodotto WNBA.

Caitlin Clark e compagne chiedono di poter beneficiare in maniera più diretta della crescita che la lega ha registrato negli ultimi anni. E i numeri, almeno in termini di visibilità e impatto mediatico, danno loro ragione. Le stelle della WNBA stanno progressivamente diventando icone pop, seguite da milioni di persone anche al di fuori della sfera puramente sportiva. Un fenomeno che ha acceso i riflettori sulla lega femminile come mai prima d’ora.

Il problema dei profitti (per ora)

Il nodo, però, è prettamente economico: in 29 anni di esistenza, la WNBA non ha mai chiuso una stagione con un bilancio in attivo. Anzi, nel solo 2023 si è registrato un passivo di oltre 40 milioni di dollari, nonostante gli ascolti in crescita e una maggiore esposizione mediatica. A coprire i debiti, finora, è stata la NBA, che continua a sostenere la lega sorella nella sua evoluzione.

Lontano dal parquet, vicino al futuro

Il paradosso è che, se mai la WNBA riuscirà davvero a raggiungere un bilancio positivo – cosa che diversi analisti ritengono possibile già dalla prossima stagione – lo dovrà in larga parte a ciò che succede fuori dal campo. Sponsorizzazioni, campagne social, visibilità mediatica e presenza costante delle giocatrici nei contesti culturali e commerciali sono stati il vero motore del recente slancio.

Ed è proprio per questo che la protesta trova legittimità: chi sta rendendo il prodotto WNBA interessante e appetibile, sono le stesse atlete che oggi chiedono un riconoscimento economico all’altezza del loro impatto. E con ogni probabilità, lo otterranno.

Perché quando una maglia nera riesce a fare così tanto rumore, non può restare inascoltata.

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