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NBA, Accadde Oggi: gli 81 punti di Kobe Bryant

Diciassette anni fa Kobe Bryant ha messo a referto la seconda miglior prestazione offensiva della storia con 81 punti segnati contro i Raptors

Fa male ripensare a Kobe, soprattutto a pochi giorni dall’anniversario della sua scomparsa. Nella tristezza però è allo stesso tempo un piacere ricordarlo come uno dei migliori giocatori di tutti i tempi, distintivo guadagnato in tante annate vincenti nella NBA.

Uno dei tanti motivi per cui il Black Mamba verrà ricordato per sempre accadde esattamente il 22 gennaio 2006.

I fortunati che erano allo Staples Center non ricorderanno probabilmente nessuno dei comprimari dei Lakers, spettatori non paganti di uno show individuale. Oltretutto quella partita era ben lontana dall’essere un match di cartello da tutto esaurito e pubblico delle grandi occasioni.

Siamo a metà della stagione regolare, a Los Angeles arrivano i Toronto Raptors, squadra di bassa classifica della Eastern Conference. Di lì a pochi giorni si terrà il Superbowl perciò l’America è con la testa a tutt’altro campo da gioco: nessuno sa che a stretto giro di orologio si farà la storia della lega.

Mamba Mentality

Nel prepartita Kobe non si sente bene, è stanco, i muscoli sono tesi e provati da un mese a 40.6 punti di media. Arriva a quella partita dopo aver messo un filotto di partite sopra i 40 con un picco di 62 contro i Dallas Mavericks in soli tre quarti.

Naturale che non sia al meglio, prestazioni del genere richiederebbero un prezzo a livello fisico che pochi sono in grado di pagare. La testa però non concepisce il fermarsi o giocare a ritmi più bassi: non è così che funziona Kobe Bryant.

Phil Jackson lo schiera in campo senza pretendere nulla vista anche la modestia degli avversari e la partita comincia.

“Kobe deve batterci da solo”

Il Kobe di quegli anni era ben diverso da quello visto nell’era degli ultimi due titoli: sprezzante, arrogante e individualista come pochi. Il ragionamento verso i compagni era “Se voi non siete in grado, farò tutto da solo”.

E così è stato. Smush Parker e Kwame Brown cominciano la partita facendo chiaramente capire come siano venuti i capelli bianchi a Jackson: palle perse, scelte facili sbagliate e una difesa assolutamente imbarazzate. A questo punto Kobe prende in mano la situazione.

Reverse layup, triple, jumper dal midrange, and-one, tiri liberi, c’è tutto nel repertorio del numero 8. Nel primo tempo però tutto questo non basta, i Raptors giocano di squadra e organizzano bene la fase difensiva su tutti i comprimari.

Charlie Villanueva ha poi raccontato:

Volevamo fermare gli altri giocatori e mettere Kobe nella situazione di batterci da solo. Per qualche minuto ci eravamo convinti che stesse funzionando, perché non tutti ricordano che quella sera, a fine primo tempo, stavamo vincendo di 14

Charlie Villanueva

51 al giro di boa

I Lakers inseguono, o meglio, Kobe insegue fino al terzo quarto quando strappa una palla di cattiveria e vola a schiacciare i punti del sorpasso, arrivando a quota 51 in appena tre quarti.

I compagni sembrano finalmente galvanizzati da quello che vedono dal capitano e cominciano ad impegnarsi di più in difesa e fare le scelte giuste in attacco. Lamar Odom, pur tirando malissimo, mette insieme stats su stast: alla fine chiudera con 8 punti, 7 assist e 10 rimbalzi.

Lo show però è sempre suo, del ragazzo dalla Lower Merion HS in Philadelphia. I Raptors non ci stanno, non vogliono venire umiliati più di quanto già non stia succedendo e cercano di tenere botta ma invano.

Il quarto periodo è un trionfo. 30 punti messi senza pietà per spegnere ogni volontà di rimonta, mordendo la giugulare di una squadra ormai ferita per dare il colpo di grazia. Il tabellino alla fine reciterà 81 punti, la seconda miglior prestazione offensiva dai tempi dei 100 punti di Wilt Chamberlain ad Hershey.

La folla è in delirio, la standing ovation alla sua uscita dal campo è il coronamento di una serata sensazionale, frutto di tutte quelle che sono le luci e le ombre del carattere di Kobe Bryant. Difficile da amare per i compagni eppure impossibile da odiare.

“La grandezza è solitaria” è stato detto da uno scrittore a fine ‘800. Mai parole sono risultate più azzeccate per definire Kobe Bean Bryant nella serata del 22 gennaio 2006.

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