NBA, Accade Oggi: Iguodala e la nascita del Sesto Uomo

Trentasette anni fa nasceva a Springfield Andre Iguodala, campione NBA con gli Warriors e Finals MVP nel 2015

Andre Iguodala MVP delle Finals

Si può dire di tutto di Andre Iguodala fuorché il fatto che sia un giocatore “ordinario”, uno di quelli con la strada già tracciata o il classico ragazzo a rischio sbandata che trova la salvezza nel basket, storie che trovano e hanno trovato sempre più piede nella NBA.

Andre non è così, per nulla. L’unica strada tracciata per lui era quella dell’istruzione che la mamma Linda ha insistito perché ricevesse ai massimi livelli. Da piccolo lo ha abituato a leggere il giornale mentre lei andava al lavoro per portare il pane in tavola e non far mancare nulla a lui e a suo fratello.

Gli ha sempre insegnato come essere sempre al posto giusto, come essere persona educata e a modo, come rapportarsi coi bianchi, come far sì che si costruisse prima come persona che come atleta. Tutto questo ha formato l’Andre Iguodala che abbiamo conosciuto noi e oggi, nel giorno del suo trentasettesimo compleanno, lo voglio omaggiare col racconto delle sue imprese, dentro e fuori dal campo.

Buon compleanno Iggy.

“Scusa, hai sbagliato classe?”

Come ho detto prima Andre era un avido lettore di giornali e quotidiani ma non solo: divorava una quantità infinita di libri e non letture per bambini ma anche qualcosa di un po’ più impegnativo. La lettura gli dà tanto, lui impara, assorbe, cresce, coltiva la sua intelligenza nel migliore dei modi.

Questo pregio gli vale l’ammissione in una scuola d’élite a Springfield, Illinois, dove può ricevere un’istruzione di primo livello. Qui avviene il primo contatto col crudo mondo in cui un ragazzino nero è costretto a vivere: il piccolo Iggy entra in classe, una classe esclusivamente bianca, e la maestra, sbalordita, controlla il suo orario per accertarsi che non abbia sbagliato classe.

Come ho detto prima, Andre è sempre nel posto giusto. Lui è ferito, umiliato, ma non per questo meno determinato a dimostrare che sì, lui merita di essere lì. Da qui scatta il suo spirito competitivo, la sua voglia di eccellere dentro e fuori dal parquet. Perché nel mentre, oltre a studiare, Iguodala comincia anche a giocare a basket.

All-American in Arizona

Eccellente sui banchi, eccellente in campo. Andre comincia a giocare seriamente alla Lanphier HS dove occupa un posto sia nella squadra degli esordienti che in quella dei Senior, dove il minutaggio è sicuramente ridotto ma non per questo utilizzato male.

Il suo gioco è come lui, un basket intelligente fatto di scelte giuste per far brillare la squadra e non il singolo. Grazie a queste qualità e i numeri a supporto si guadagna le nomination come All-American e il premio di Giocatore dell’Anno del Chicago Tribune.

Cosa ancora più importante, si guadagna l’ammissione alla University of Arizona sotto la guida del grande coach Lute Olson.

I Wildcats però non sono la sua prima scelta: in realtà lui avrebbe voluto giocare per Nolan Richardson, coach afroamericano in un college minore dell’Arkansas. Questo perché Andre ha già sviluppato una fortissima coscienza sociale e vuole farsi promotore con le azioni dell’uguaglianza tra bianchi e neri.

Richardson viene però licenziato e Iguodala accetta la borsa di studio di Arizona. Il rapporto con Olson non è dei migliori: Iggy si impegna e migliora, i risultati per la squadra non tardano ad arrivare ma il coach non lo stimola e anzi gli toglie certezze, tanto per dargli un ulteriore assaggio di vita reale.

Quando Andre viene accostato al Draft NBA coach Lute, intimorito dal perdere una delle sue stelle, fa di tutto per tenerlo lì a costo anche di demotivarlo facendolo dubitare di sé. Sul suo cammino trova però Rob Pelinka, allora procuratore, che valorizza Iggy e lo aiuta nella scelta migliore.

È l’estate del 2004 e Andre Iguodala è pronto ad entrare in NBA.

La città del non-amore fraterno

Iggy approda come nona scelta ai Philadelphia 76ers, che allora erano ancora la squadra di Allen Iverson. The Answer se ne andrà nel giro di due anni per approdare a Denver e la squadra si troverà totalmente in mano ad Iguodala.

Andre è forte, atletico, determinato. Guida perfino i Sixers al secondo turno dei Playoff da ottava in classifica, compiendo un ribaltone che solo cinque squadre nella storia della lega hanno compiuto, eliminando i Chicago Bulls nel 2012.

40 minuti a partita, numeri in costante crescita in tutte le statistiche ma tutto questo non basta per trovare una quadra in un team senza nessuna ambizione. Iggy viene individuato dalla tifoseria come il capro espiatorio della pochezza della squadra nonostante numeri di altissimo livello che gli valgono anche la convocazione all’All Star Game.

La città dell’amore fraterno non ha amore per Andre che, senza tanti fronzoli né comunicazioni, viene scambiato ai Denver Nuggets chiudendo così una storia di amore/odio durata otto anni.

Il Sesto Uomo

A Denver resterà un solo anno, in cui però sarà determinante per la squadra che raggiungerà il suo record di franchigia per vittorie in Regular Season.

I Nuggets vengono però eliminati al primo turno dai Golden State Warriors, squadra giovane e in ascesa. Andre è affascinato dalla loro filosofia e dalla preparazione di Mark Jackson in panchina e nell’estate del 2013 firma proprio con loro, facendo quindi una mossa che gli cambierà la carriera.

Un anno dopo la franchigia compie una scelta che farà le fortune del team firmando Steve Kerr per guidare la squadra dalla panchina. Kerr mette subito la sua impronta ritagliando per Iguodala un ruolo da sesto uomo di lusso, mettendolo alla guida della second unit e sfruttando la sua infinita intelligenza cestistica nel leggere le partite in corso.

Con lui che accetta di buon grado il compito e la definitiva esplosione di Steph Curry, Klay Thompson e Draymond Green i Golden State Warriors cominciano a volare altissimo.

Nell’estate del 2015 i ragazzi della Baia raggiungono le Finals contro i Cleveland Cavaliers e ad Andre tocca l’ingrato compito di tenere a bada nientemeno che LeBron James. Iguodala non ha paura, cerca il confronto, gioca al massimo delle sue possibilità. LBJ tiene delle medie insensate ma Andre gli fa perdere spesso la concentrazione, forzando scelte sbagliate e giocate decisive che varranno la serie. Gli Warriors vincono il titolo e ad Iggy viene riconosciuto il superbo lavoro fatto su un palcoscenico così importante.

Vince il premio di Finals MVP, l’unico giocatore ad aver mai ottenuto questo trofeo senza giocare un minuto da titolare nella stagione regolare.

“Cosa direbbe un negro stupido?”

Nonostante un record incredibile di 73 vittorie e 9 sconfitte, il migliore di sempre, gli Warriors perdono le Finals nel 2016 in una rivincita contro Cleveland. Con una mossa a sorpresa però nella Baia approda Kevin Durant, andando a mettere il tassello definitivo in una delle squadre più forti di sempre.

Lo strapotere degli Warriors non piace, l’ascesa che l’ha portata da ultima invitata a reginetta del ballo comincia a far storcere il naso a molti. Golden State sembra imbattibile, forse troppo.

La squadra comincia ad essere maltrattata in campo dagli avversari che non vengono debitamente sanzionati dagli arbitri e meno fischi arrivano più crescono le libertà che si prendono gli ospiti nel malmenare gli Warriors.

Lo snodo cruciale è l’11 marzo 2017: i Timberwolves battono gli Warriors dopo una gara non particolarmente pulita, con poche chiamate a favore e qualche parola di troppo tra Andre e un arbitro. A fine partita, chiamato ai microfoni dei giornalisti, Iggy si lascerà andare scomponendo quell’immagine di ragazzo sempre a modo e sempre composto. Alla domanda su come avrebbero potuto reagire in partita risponde con un lapidario:

“Cosa direbbe un negro stupido?”.

Gelo. I giornalisti sono ammutoliti, uno di loro prova a sviare chiedendo del riposo nella partita successiva e Andre rincara la dose:

Faccio quello che comanda il mio padrone

Lo sfogo è crudo, duro e viene aspramente criticato dagli addetti ai lavori. I compagni e il coach però fanno cerchio intorno ad Iggy, sapendo bene che un episodio del genere può essere solo frutto di una grande frustrazione. Andre non è così, non è identificabile in quelle poche parole. Lui lo sa, loro lo sanno. Si va avanti insieme.

Con Golden State vincerà altri due titoli e sfiorerà anche il quarto contro i Toronto Raptors nel 2019 ma i troppi infortuni condizionano la serie e il ciclo vincente degli Warriors arriva alla fine.

Da libro a libro

Da Golden State passa a Miami per le battute finali della sua carriera ma Andre non è certo uno che sta con le mani in mano, che non sa cosa fare al di fuori del campo da basket.

Decide di buttare nero su bianco i capitoli fondamentali della sua storia, non sapendo però che di lì a poco sarebbe arrivata un’altra finale da aggiungere al suo ruolino di marcia. Nel suo libro, non a caso intitolato “Il Sesto Uomo”, ripercorre i passi che lo hanno portato dov’è ora non tralasciando nessun particolare, neanche quelli più scomodi.

Andre Iguodala alla presentazione del suo libro

Il libro racchiude tutto quello di cui si parla solo nei corridoi: le dinamiche di reclutamento per il college, la falsità, il razzismo, gli arbitraggi dubbi, i sotterfugi interni alla lega. Andre non vuole sollevare polemiche, a lui interessa solo essere genuino, sincero, senza doversi attenere al tristemente illustre mantra del “zitto e gioca”. Non vuole sentirsi prigioniero di nessuno nonostante uno stipendio milionario gli imponga implicitamente un silenzio dovuto.

Non vuole essere grato a nessuno per essere arrivato perché se lo ha fatto è per merito suo. E a giudicare dai risultati ci è riuscito anche piuttosto bene.

Buon compleanno ad Andre, il sesto uomo.

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