NBA, Accadde Oggi: Pau Gasol approda ai Lakers

Tredici anni fa, oggi, il front office dei Lakers ha messo in atto una delle trade più riuscite della storia gialloviola: Pau Gasol a Los Angeles

Gasol in maglia Lakers

È stata una trade che ha scioccato tutti nel mondo NBA, compreso il diretto interessato. Pau infatti ha raccontato di esserne rimasto sorpreso e, all’inizio, anche un po’ scontento:

Si vociferava che Kobe sarebbe stato ceduto e io non volevo andare a LA. Nella mia mente pensavo che Memphis non mi avrebbe mai scambiato e proprio quando me ne sono convito è successo davvero.

Fatto sta che lo scambio alla fine è avvenuto: ai Lakers arriva Pau Gasol, Rookie dell’Anno nel 2001 e All Star nel 2006, in cambio di Kwame Brown, Javaris Crittenton (sì, quello che ha duellato con Arenas sfoderando una pistola) e la futura scelta nonché fratello di Pau, Marc Gasol.

Ma partiamo dall’inizio.

“Dove stiamo andando?”

Siamo all’inizio della stagione 2007-2008, i Lakers sono ben lontani dai fasti degli anni passati e Kobe Bryant, ormai scontento di essere l’unico a voler portare la torcia, sembra diretto verso altre mete. Si vocifera Chicago, ai Bulls che un tempo sono stati dominio assoluto sotto la guida dell’idolo di Kobe, Sua Altezza Aerea Michael Jordan.

Il Black Mamba però non parte, sposa ancora la causa gialloviola ma la pazienza è agli sgoccioli, non sembra esserci una direzione né come squadra né come franchigia, non ci sono mosse sul mercato che facciano pensare ad una volontà di svolta.

A fine gennaio il record è 19 vittorie e 11 sconfitte, senza infamia e senza lode e non sembrano esserci le basi per ambire ad un buon posizionamento per i Playoff, figurarsi puntare al titolo.

A sorpresa però il primo di febbraio il front office compie una mossa che cambierà la storia dei Lakers da lì a pochissimo: a dare manforte a Kobe Bryant, per offrire un’alternativa di altissimo livello, arriva da Memphis Pau Gasol.

Dynamic Duo

Da quel febbraio le cose cambiano radicalmente: i Lakers scalano il selvaggio West fino alla vetta della Conference assicurandosi il fattore campo per tutti i Playoff, Finals escluse. Ad Est infatti, parallelamente, rialzano la testa i Boston Celtics, forti di un trio delle meraviglie e un Rajon Rondo in ascesa.

Gasol e Bryant si trovano a meraviglia, giocano di squadra, si cercano e creano un legame fortissimo che si estenderà anche fuori dal parquet.

Kobe si guadagnerà finalmente il titolo di MVP della stagione regolare, Los Angeles è rinvigorita e viaggia fortissimo in post season veleggiando in finale contro, neanche a dirlo, i biancoverdi.

Alle Finals manca qualcosa però, i Lakers sembrano svuotati e si arrendono in sei partite. Quella che sembra già la fine non è che l’inizio.

Vincere e vincere ancora

Il 2009 fa subito capire che a Los Angeles il titolo è un obbligo, è l’obiettivo comune di tutti i giocatori che fanno subito cerchio intorno alle loro due stelle per realizzare questo sogno. Phil Jackson orchestra perfettamente dalla panchina la sinfonia messa in atto dalle sue star e dal suo roster e i Lakers approdano di nuovo alle Finals.

Ad aspettarli però non ci sono i Celtics ma i sorprendenti e talentuosi Orlando Magic di Dwight Howard e Jameer Nelson. La squadra è ottima ma non ha mezzi per contenere lo strapotere di Bryant e la coralità finalmente espressa dai gialloviola: si sfiora il cappotto e con un secco 4-1 i losangelini si portano di nuovo sul tetto della NBA.

Il primo titolo per Pau, il quarto per Kobe (Kobe Bryant, gli 8 momenti migliori della carriera) ma quello che si è visto in campo va oltre la vittoria. I Lakers sono una squadra come non lo sono mai stati nell’era Jackson, meno talentuosi probabilmente del primo Three-peat ma più conformi a quel concetto di team-famiglia che Coach Zen cerca sempre di inculcare nella mente dei suoi giocatori.

Il destino però non ha finito con loro. Comincia una nuova stagione e il percorso è lo stesso: primi ad Ovest, marcia ai Playoff, Finals. Il Repeat però non è già facile di per sé e a complicare il tutto c’è un cliente ben più ostico dei Magic: gli Dei del basket mettono di nuovo i Boston Celtics tra LA e il suo sedicesimo titolo.

Sono le Finals che tutti vogliono vedere e i protagonisti non si fanno aspettare. I Lakers non sono arrendevoli come nel 2008 e trascinano i rivali fino a Gara 7 sul palco di casa, lo Staples Center. In una serata difficile al tiro per Kobe, che chiuderà comunque con 23 punti e 15 rimbalzi (seppur con il 25% dal campo), ci pensa Pau a togliere le castagne dal fuoco: punti, rimbalzi, canestri importanti in momenti decisivi. Le bombe di Artest mettono il sigillo finale e i gialloviola sono di nuovo campioni.

Tutte le cose belle hanno una fine

Balzo avanti nel tempo e siamo nel 2014, a quattro anni dal titolo. I Lakers non hanno più viaggiato a quei ritmi, le Finals sono un ricordo in un quadriennio che vede lo strapotere degli Heat di LeBron e Wade e due titoli di stampo texano con Mavericks e Spurs.

Pau diventa Free Agent e va via da Los Angeles. Non è un addio vissuto con rabbia dai compagni e dalla piazza, LA sarà sempre grata a Gasol. Lo stesso Kobe, sempre duro con i suoi commilitoni, spenderà parole al miele per il suo compagno di avventure:

Se la mia maglia sarà appesa allo Staples la sua dovrà essere accanto. Non avrei vinto se non fosse stato per lui. È e sarà sempre mio fratello.

Alla scomparsa di Kobe (Kobe Bryant, i 24 motivi che lo rendono immortale), il 26 gennaio 2020 Pau è incredulo, il rapporto con lui non è mai evaporato, è diventato come uno zio per le figlie di Bryant e il dolore per la scomparsa dell’amico fraterno e la piccola Gigi lo strazia. Rimanderà gli impegni per stare vicino a Vanessa e alla famiglia, dalla quale non si staccherà. Sembra anche che abbia rinunciato a tornare in Europa per non abbandonare le ragazze, tanto a dimostrare un cuore infinito e un amore per quel fratello ormai scomparso.

Perché non si può parlare di Pau Gasol senza Kobe Bryant e non si può parlare di Kobe Bryant senza Pau Gasol.

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