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Bucks, Giannis Antetokounmpo: non c’è due senza tre

Nonostante alcune difficoltà mostrate dai Bucks, The Greek Freak è di nuovo tra i candidati al premio MVP

É vero, i Milwaukee Bucks non sembrano più la macchina ben rodata macina vittorie degli scorsi anni. Ma d’altronde neanche lo scorso anno c’era quest’impressione.

É vero, Giannis Antetokounmpo ormai non stupisce più nessuno con il suo dominio a tutto campo, e alcuni dubitano ancora che la sua doppietta MVP-DPOY sia stato un regalo (in tanti hanno valutato James e Davis come più meritevoli). Ma nel giro di pochi mesi dal suo primo anello ha ulteriormente migliorato i punti deboli del suo gioco.

Insomma, guardar giocare i Bucks, vederli vincere e vedere The Greek Freak imporsi in lungo e in largo non stupisce più nessuno. E a ben pensarci è proprio questa la loro forza: hanno reso ordinario lo straordinario. Ma è meglio scendere nel dettaglio.

MVFreak

Se analizziamo Giannis Antetokounmpo dal suo primo giorno nella NBA ad oggi noteremo di anno in anno un miglioramento significativo. Non parlo solo di statistiche, anche se quelle sono sotto gli occhi di tutti, ma di una costante e continua ricerca del perfezionamento individuale.

Il primo passo si è visto nella stagione 2016-17, coronata dal riconoscimento come Most Improved Player: i punti del numero 34 passano da 16.9 a 22.9, i rimbalzi da 7.7 a 8.8, gli assist da 4.3 a 5.4. Aumentano anche stoppate e palle rubate, migliorano le statistiche al tiro e si cominciano anche ad intravedere dei tentativi dalla lunga distanza, seppur ancora con medie basse. Grazie a questo miglioramento, in cui Giannis abbraccia il ruolo di leader in campo, i Bucks raccolgono il primo bottino di vittorie sopra il 50% da sei stagioni a quella parte.

Milwaukee cresce con la sua stella, aumentano le vittorie, migliorano le prestazioni individuali del Dio Greco che si guadagna un posto fisso tra gli All Star (di cui verrà nominato MVP nel 2021). Tutto questo però non basta per aggiudicarsi il premio finale.

Nel 2018-19, anno del primo MVP della regula season, Antetokounmpo viaggia a 27.7 punti, 12.5 rimbalzi e 5.9 assist, con il 58% dal campo ma infrange i suoi sogni di gloria sullo scoglio dei Toronto Raptors e la difesa rocciosa di Kawhi Leonard. I Bucks si portano sul 2-0 nella serie ma vengono rimontati e sconfitti per quattro partite consecutive.

L’anno dopo alza ulteriormente il livello: 29.5 punti, 13.6 rimbalzi, 5.6 assist, migliora la sua difesa al punto che viene considerato tra i candidati al Defensive Player of The Year.

É però l’anno dei Lakers: LeBron James viaggia a quasi tripla doppia di media con 25.3 punti, 10.2 assist (leader stagionale) e 7.8 rimbalzi, realizza tredici triple doppie e porta i Lakers al titolo. Non lo fa da solo, a lui si è unito Anthony Davis che in poco tempo diventa il perno difensivo dei gialloviola: 2.3 stoppate e 1.5 palle rubate a partita, un eccellente defensive rating e l’impressione sempre più convinta di essere il miglior difensore stagionale.

Forti di due candidati a due dei premi individuali più ambiti, i Lakers (e tanti addetti ai lavori) si indignano e stupiscono non poco quando sia l’MVP che il DPOY vengono assegnati ad Antetokounmpo, realizzando una doppietta che fino a quel momento era riuscita solo a Michael Jordan e Hakeem Olajuwon.

I losangelini avranno però l’ultima parola: James e Davis portano i Lakers all’anello mentre le speranze dei Bucks si spengono ancora una volta prima del tempo, proprio contro gli avversari di Los Angeles alle Finals, i Miami Heat.

L’incetta di premi individuali, da alcuni ritenuti anche immeritati, cominciano a valere a Giannis una fama non proprio lusinghiera, un cocco della lega spinto oltre aspettative che non riesce a mantenere. É forte, non c’è dubbio, ma ha ancora dei limiti al tiro e non sembra in grado di fare e far fare un salto di qualità alla propria squadra.

Un anello per domarli

L’espressione ripresa dal “Signore degli Anelli” non è a caso: con la vittoria del titolo la scorsa stagione, con 28.1 punti, 11 rimbalzi e 5.9 assist di media, GA34 ha messo finalmente a tacere i suoi detrattori. Ha mostrato grande maturità ed incisività nei momenti chiave; ha messo a referto 35.2 punti e 13.2 rimbalzi alle Finals, guadagnandosi di diritto il premio di MVP delle Finali; ha dimostrato a tutti, sé stesso compreso, di essere più che degno di sedere al tavolo dei grandi.

E tutto ciò ci porta a quest’anno. Sì, come ho detto all’inizio i Bucks non sembrano essere i favoriti, anche se rimangono la squadra da battere; e sì, Giannis è sempre la stessa forza incontrastata. Nulla di diverso, insomma. O quasi.

Chi storce il naso vedendo di nuovo il nome di Antetokounmpo nel terzetto di favoriti all’MVP non ha forse ben presente il grande passo in avanti fatto dal greco in termini di tiro: se la meccanica sotto canestro è invariata (impossibile migliorare una macchina da attacco al ferro) quella dal mid-range e tutt’altra cosa.

Nel suo primo anno da MVP, 2018-19, tirava con il 34% in uno spazio complessivo tra l’area interna e l’arco dei tre punti. Centimetro più centimetro meno, non me ne vogliano i puristi della statistica, in quello che rientra nella categoria di “media distanza”. Nel 2019-20 è diventato 39,6%. Leggera inflessione lo scorso anno, 37,6%.

Quest’anno tira con il 41.6%, senza contare il 30% dall’arco e il 72% ai tiri liberi (dopo il 63 e 68 degli ultimi due anni). Il suo PER (Player Efficiency Rating) è di 32.32, secondo nella storia NBA soltanto a Nikola Jokic quest’anno. I due hanno frantumato il record di Wilt Chamberlain che durava ormai da sessant’anni, e nella stessa stagione per di più.

Guardando i numeri, guardandolo giocare, guardando i Bucks terzi ad Est con un record più che positivo e la possibilità di risalire ancora, non stupisce affatto che Antetokounmpo sia una volta di più nell’eccellenza della lega. La cosa che stupisce è che ci siano persone che si stupiscano di questa cosa o peggio, che non lo ritengano giusto.

Giannis Antetokounmpo è un fenomeno, con uno stile che può piacere o non piacere, ma nondimeno un fenomeno. Mantiene sempre numeri stratosferici, rende la sua squadra una contender e soprattutto lotta ogni anno per migliorarsi sempre di più. E queste sono senza dubbio qualità che fanno di un giocatore un MVP.

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