G-League Ignite, storia di un progetto fallimentare
La G-League Ignite, nata come progetto rivoluzionario per guidare i talenti liceali verso l’NBA, ha avuto vita breve: appena 4 anni segnati da entusiasmi iniziali e momenti di delusione
Il progetto G-League Ignite fu lanciato nell’aprile 2020 dall’idea di creare, all’interno della già esistente lega di sviluppo (la G-League), una squadra composta dai migliori prospetti liceali di pallacanestro, con l’obiettivo di prepararli al meglio al salto verso il grande basket.
Il principale beneficio che i giocatori potevano trarre da tale progetto, promosso anche dalla NBA, era l’opportunità di concentrarsi esclusivamente sulla propria crescita sportiva, inserendosi fin da subito nel mondo della pallacanestro professionistica.
Ciò si rifletteva in diversi aspetti della vita del giocatore: dalle modalità di gioco e allenamento, naturalmente più conformi a quelle della NBA, fino alla garanzia di un compenso, importante incentivo agli occhi di un atleta in uscita dalla high school.
La G-League Ignite era dunque offerta come una valida alternativa al classico percorso dei college, dove ogni attleta, per regola, è tenuto a proseguire gli studi per poter continuare a giocare, e dunque, necessariamente, dedica meno tempo alla pallacanestro.
Inoltre, questo progetto era ampiamente supportato perché si riteneva che questo tipo di percorso fosse un’ottima preparazione per un giocatore in vista di un futuro Draft, permettendogli di risaltare agli occhi degli osservatori delle squadre NBA.
Tale credenza, tuttavia, è stata smentita col passare degli anni.
L’eccitazione della prima stagione
La prima stagione di G-League Ignite fu influenzata dalle conseguenze della pandemia del 2020, ma, nonostante ciò, iniziò con grandi aspettative, dato che il progetto aveva ottenuto notevole credibilità tramite il reclutamento di Jalen Green e Jonathan Kuminga, due dei migliori giovani prospetti liceali.
La capacità di attrarre subito l’interesse di due giocatore di tale valore aveva stabilito una prima importante tappa per la crescita di questo progetto nel mondo della pallacanestro statunitense, confermando le potenzialità di rivoluzione interamente il panorama del basket giovanile.
Tuttavia, la squadra non rispettò a pieno le aspettative, concludendo la stagione al primo round dei playoff, e i due principali giocatori non beneficiarono del progetto tanto quanto era stato loro promesso. Entrambi si dichiararono per il Draft successivo dopo una stagione solida, ma non straordinaria, che non gli consentì di migliorare le proprie valutazioni in vista del passaggio alla NBA.
La mediocrità della seconda e della terza stagione
Le successive due stagioni di G-League Ignite hanno seguito le orme della prima. Nonostante il reclutamento di altri importanti prospetti, tra cui Scoot Henderson, MarJon Beauchamp, Jaden Hardy e Dyson Daniels, anche in questi casi i risultati non sono stati strabilianti come prevedevano le aspettative.
La seconda stagione, anch’essa influenzata notevolmente dalla pandemia che limitò il numero di partite giocate dalla squadra a poco più di dieci, non permise ai giocatori di ottenere grande visibilità.
Durante il terzo anno del progetto, la conclusione della pandemia consentì ai giocatori di mettere maggiormente in mostra le proprie abilità, anche grazie all’organizzazione di partite di esibizione.
In particolare furono organizzate due partite tra G-League Ignite e la squadra francese Metropolitans 92, per permettere ai due migliori prospetti del successivo Draft, Scoot Henderson e Victor Wembanyama, di confrontarsi direttamente sul campo.
Sebbene questa annata possa essere considerata positiva, l’incapacità dei giocatori provenienti da questo progetto di avere un significativo impatto nella NBA alimentò ulteriormente i dubbi sulla validità del programma.
L’ultima disastrosa stagione e l’avvento del NIL
L’ultima stagione dei G-League Ignite può essere considerata la più deludente, conclusa con appena 2 vittorie in 34 partite. Nonostante la presenza di giocatori di grande talento come Ron Holland e Matas Buzelis, il risultato portò a numerose discussioni sul futuro del programma.
Visti gli scarsi risultati conseguiti nel corso dei quattro anni, il progetto si concluse nel maggio 2024, non potendo complessivamente vantare grandi successi, a parte, per il momento, qualche giocatore che nella NBA può avere un’importanza, tra cui Jalen Green e Jonathan Kuminga.
Tra le principali cause di questo fallimento non ci sono solo le false aspettative alimentate negli ultimi anni, ma soprattutto la recente rivoluzione del basket collegiale, resa possibile dall’introduzione del NIL: un sistema che permette agli atleti di ricevere compensi economici per le loro prestazioni e per l’utilizzo della propria immagine.
Questo meccanismo va chiaramente a minare una delle basi del progetto, che, originariamente, rappresentava uno dei suoi migliori vantaggi. Le nuove disponibilità finanziarie dei college, impensabili per squadre a livello G-League, hanno inevitabilmente segnato il tramonto definitivo di programmi alternativi basati sul modello di G-League Ignite.