Le 10 Peggiori Prime Scelte al Draft NBA

Vi siete mai chiesti quali siano le peggiori prime scelte al Draft NBA? Ecco la risposta con questa speciale top-10

Spesso prima scelta al draft è sinonimo di rebuilding ovverosia ricostruire il team partendo proprio da un giovane talento del college. Pensate a quante squadre sono riuscite nell’intento, i Cavaliers con LeBron James, i Rockets ai tempi di Olajuwon o i Lakers quando scelsero Magic Johnson dando vita allo Showtime.

Come ogni altro romanzo sportivo, c’è l’altra faccia della medaglia a cui fare riferimento ed in questo caso ci riferiamo a veri e propri fallimenti: vere e proprie meteore che hanno illuso dirigenze ed appassionati di questo sport.

Talvolta a causa del front office che in preda a deliri di onnipotenza si è lasciato sfuggire il pezzo pregiato per tentare la sorte, in altre occasioni il giocatore fenomenale si rivela un autentico flop, queste scelte hanno scatenato il panico generale e hanno fatto perdere i capelli al GM, certo di aver giocato bene le sue carte.

Qui vi mostriamo le dieci peggiori prime scelte al Draft NBA, giocatori che alla Lega non hanno dato niente, se non grasse risate o addirittura loro stessi hanno capito che il basket non era nel destino, così hanno cambiato mestiere.

La selezione parte dagli anni Settanta per differenti motivi quali la mancanza di statistiche affidabili all’epoca e la componente scouting scarsina, oltre all’inevitabile evoluzione del gioco.

Le 10 Peggiori Scelte al Draft NBA

10. Joe Smith

Un peccato inserire Joe in questa classifica, perché sebbene non fosse stato un talento straordinario, il suo anno da rookie fu di pregevole fattura.

Un lungo che negli anni Novanta avrebbe dovuto alzare l’asticella anno dopo anno, specie dopo essere stato scelto alla numero 1 in un Draft che comprendeva Rasheed Wallace e Kevin Garnett (1995), però guardando ai numeri di questi due e al fatto che il titolo di miglior rookie andò a Damon Stoudamire, il tutto prese l’aspetto più imprevedibile.

In carriera Smith si dovette accontentare di essere niente più che un role player, una riserva e in 16 anni di “onorata” carriera, furono più i nomi importanti con cui giocò e le canotte indossate rispetto alle soddisfazioni ottenute.

9. John Lucas

Il draft dell’anno 1976 ancora non regalava grandi campioni e John Lucas sembrava leggermente sopra la media rispetto agli altri in lista.

Il ragazzo, atletico portento di Maryland, fu scelto da Houston con i migliori auspici e probabilmente con ragione viste le sue discrete prestazioni da rookie, però quando vennero a galla i suoi tormentati problemi con le sostanze illegali, e la sua carriera calò a picco.

La sfortuna da giocatore non gli ha vietato di diventare un allenatore NBA e attualmente è colui che si occupa dello sviluppo dei giocatori all’interno dei Rockets.

Piccole insoddisfazioni della vita: allena i 76ers dal 1994 al 1996, l’anno successivo arriva Iverson; allena i Cavs dal 2001 al 2003, l’anno successivo arriva LeBron.  Povero JL.

8. Andrea Bargnani

Un capitolo che vorremmo scrivere in altro modo, il destino e la testa di Andrea hanno deciso diversamente.

Giovane e talentuoso giocatore del campionato italiano entra con le migliori premesse al Draft e viene scelto da Toronto con la primissima, le prime stagioni sono di livello, forse la numero 1 fu eccessiva, ma in Canada avevano una coppia di torri con lui e Bosh.

Qualcosa poi è scattato dentro Andrea e le sue capacità sembravano venire a mancare, così oltre a peggiorare le sue percentuali (nonostante una clamorosa stagione da 21 punti e quasi 2 stoppate di media), si notarono tutti i suoi limiti e piano piano Bargnani smise di essere un giocatore di NBA.

7. Greg Oden

Una storia che dovrebbe stare a cuore a tutti quanti. I Trail Blazers purtroppo sono famosi per prendere il draft come un circo e sbagliare una scelta dopo l’altra (ve ne accorgerete più avanti), qui però si punta il dito in maniera sbagliata sia sulla franchigia sia sul giocatore in questione.

Oden venne scelto prima di Durant per i seguenti motivi: fisicamente dominante, capacità di difendere ad elevate prestazioni e un trattamento della palla incredibile per un centro vecchio stile. KD non sarebbe durato molto nella Lega secondo gli scout.

Sul futuro dei due giocatori non serve mettere un dito nella piaga, KD avrebbe giocato probabilmente con Lillard e Aldridge dando vita ad un trio devastante.

Greg Oden invece venne torturato dagli infortuni, saltò subito 2 stagioni intere e il suo corpo non si riprese mai, così i suoi stint in NBA vengono ricordati a malapena e Portland venne nuovamente condannata. Una brutta storia che non ha vincitori né vinti, solo martiri.

6. Pervis Ellison

Un titolo di Most Improved Player nel 1992, un po’ poco per chi nel 1989 è stato scelto prima di All-Star come Kemp, Rice o Tim Hardaway.

Entrato nella Lega con il soprannome di “Never Nervous Pervis”, per via della sua dote di clutch player che lo contraddistinse negli anni del college e in poco tempo cambiato in “Out Of Service Pervis”, nomignolo affibbiatogli dal compagno Danny Ainge, a causa delle tante partite saltate per infortunio.

Nella stagione da matricola giocò solamente 48 partite, ma due stagioni dopo con 20 punti, 11 rimbalzi e quasi 3 stoppate di media, si rivelò per quel che era stato scelto.

In realtà non il desiderio del genio non si avverò mai, perché Pervis saltò quasi 60 partite tra il 1992 e il 1994, in seguito per un dito del piede rotto saltò numerose altre gare tra il 1996 e il 1998, nelle ultime 3 stagioni con i Celtics scese in campo 69 volte su 246.

Nel 2000 entra nel roster dei Supersonics, ma dopo solo 9 gare si ritira per i continui problemi fisici.

5. Michael Olowokandi

Ci sarebbe un libro da scrivere su Olowokandi, noi ci limiteremo a qualche riga. Non sapeva nemmeno cosa fosse il basket e a 17 anni prese in mano il suo primo pallone, a 18 fece la sua prima partita. Il giorno del suo 20° compleanno pagò (23 mila dollari) per entrare nella squadra dell’università, nonostante questo sembri una favola, Michael divenne il migliore del suo team.

Anno dopo anno migliorò sempre più e venne scelto alla numero 1 dai Clippers durante il draft 1998, a causa del lockout dovette aspettare per il debutto. Fece i primi mesi da pro con la Kinder Bologna, dove a stento somigliava ad una prima scelta assoluta e questo venne notato anche con l’ingresso in NBA.

Kareem Abdul Jabbar lo considerò “talentuoso, ma impossibile da allenare”, per via della sua incapacità nell’accettare le critiche. Il sogno era vicino a spegnersi, poi nel 2003 dopo un’ottima ultima stagione ai Clippers, divenne uno dei free agent più interessanti di quell’estate.

Inseguito fortemente da Spurs e Nuggets, firmò con i Timberwolves, che si ritrovarono un giocatore non in condizione e tempestato dai problemi fisici. Nel 2007 la sua carriera è terminata con la divisa dei Celtics ed è considerato uno dei più grandi bust nella storia della Lega

4. Kent Benson

Figlio dell’Indiana e quindi figlio del basket, leggenda degli Hoosiers, degno erede di un impero sacro come quello della pallacanestro ad Indianapolis e dintorni.

Miglior giocatore della NCAA nel 1976, record di 32 vittorie e 0 sconfitte nell’anno del titolo collegiale e prospetto numero 1 del Draft 1977. I Bucks puntano su di lui, la franchigia ha bisogno di un leader nel post Abdul-Jabbar e lui ha tutte le caratteristiche per poter prendere in mano le redini.

La sua è solo apparenza, il draft regalerà alcuni All-Star e Kent non è tra questi, il suo legame con Kareem è una brutta rissa al debutto stagionale e di lui si ricorda solo il beneficio portato alle squadre che lo hanno scambiato: via dai Bucks e questi per due volte consecutive alle finali di Conference; via dai Pistons e questi dall’87’ al 90 dominatori della Eastern (con 2 titoli e 3 Finals).

Chiude la sua carriera in Italia dopo solamente una stagione, per sua stessa ammissione il basket fu la più grande chance della sua vita, ma era il momento di passare oltre.

3. Kwame Brown

Indiscutibili le doti di Jordan come giocatore, un po’ meno quelle da general manager e l’esempio di Brown è il più lampante.

Il giovane Kwame decide di saltare il college per entrare nella Lega direttamente dal liceo, il draft del 2001 è uno dei più poveri a livello di talento (ricordato per essere il draft con il più alto numero di giocatori proveniente dall’high school) ed MJ punta su di lui, fisicamente più pronto di Chandler e più adatto all’ambiente rispetto all’europeo Gasol.

Mai scelta fu più sbagliata, Brown tiene una media imbarazzante in qualsiasi statistica durante l’anno da rookie e da subito si nota quanto la sua attitudine non appartenga a quella della NBA.

Lo stesso Jordan da compagno di squadra, si accorse dei deficit del ragazzo. Negli anni successivi le cose non miglioreranno, anzi Kwame non arriverà mai a giocare 82 partite e stagione dopo stagione il suo ruolo sarà solo quello di guadagnare soldi, scendendo in campo un numero esiguo di volte. 

2. Anthony Bennett

10 anni dopo LeBron James, i Cavaliers erano certi che con l’ennesima prima scelta avrebbero ricostruito e sarebbero tornati grandi.

Per fortuna il Re tornò l’anno successivo sbarazzandosi anche di Anthony Bennett. Anche questo Draft non prometteva granché e la scelta cadde su un giocatore fisico e apparentemente utile a livello difensivo.

Quattro stagioni in NBA, l’ultima nel 2016-17, nemmeno una volta a quota 60 partite e numeri a dir poco orrendi. Kwame Brown in confronto potrebbe prendere lezioni da Bennett, considerati due tra i più grandi errori fatti durante un draft NBA.

La sua carriera ha avuto una piccola svolta con l’Eurolega vinta in maglia Fenerbahce e le poche partite in G-League gli hanno fruttato qualche possibilità di rimanere nei radar. Anthony a 27 anni ha ancora una carriera davanti, ma il suo destino sembra segnato e il professionismo un’oasi davvero lontana.

1. LaRue Martin

La scelta più combattuta, difficile dire chi meritasse di più il primo posto di questa terribile classifica, abbiamo scelto per la storia, concedendo a Bennett ancora qualche anno prima di mettersi ex-aequo con LaRue.

Il signore in questione nel 1972 viene scelto dai Trail Blazers alla numero uno (se siete stati attenti ricorderete la liaison con Greg Oden), snobbando Julius Erving e Bob McAdoo.

I numeri al college erano impressionanti e gli scout basandosi su questi, non esitarono. La sua carriera si spense all’istante, solo quattro stagioni giocate in NBA, una peggiore dell’altra: 12 minuti di media nell’anno da Rookie con 4 punti di media e altrettanti rimbalzi; l’anno successivo un disastro simile.

Nel 1974 con Bill Walton scelto alla numero 1, LaRue venne totalmente eclissato ed evitato da coach Wilkens, alla fine della stagione 1975-1976 fu scambiato ai Supersonics, con cui non scese in campo nemmeno per 1 secondo.

Martin ci provò nel 1977 con i Cavs, nel 1978 con i Bulls, ma nessuno gli concesse spazio, risolvendogli il contratto poco prima dell’inizio della stagione.

Smise col basket e iniziò a lavorare per la Nike ed in seguito per UPS, per sua stessa testimonianza l’essere stato scelto con la numero uno e poi non considerato fu un colpo troppo grosso da digerire, ma la sua vera fortuna fu quella di andare avanti, rendendosi conto che la NBA e la pallacanestro non erano alla sua portata.

LaRue Martin è considerato la peggior prima scelta di sempre ed insieme a Greg Oden nel 2007 e a Sam Bowie nel 1984 (colui che venne scelto alla n.2, cioè prima di Michael Jordan), sono le 3 peggiori scelte che i Portland Trail Blazers potessero intraprendere nella storia dei loro draft.

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