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NBA, Suns: perché Chris Paul è sempre un MVP

Al momento quarto nella corsa al Most Valuable Player, Chris Paul ha dimostrato anno dopo anno cosa voglia dire migliorare la propria squadra

Premetto: considerare Chris Paul un MVP non va a togliere meriti a Embiid, Jokic e Antetokounmpo, davanti a lui nella KIA Ladder NBA nell’ultima classifica ufficiale. Se si considerano però i fattori chiave per garantire la vittoria del premio, CP3 è forse un passo avanti.

Sempre al meglio

Dovunque sia andato, Chris Paul ha sempre migliorato le probabilità di successo delle proprie squadre. Andiamo con ordine, partendo dai New Orleans Hornets. Anno 2004-05, record di 18 vittorie e 64 sconfitte. Arriva Chris Paul, che si aggiudica peraltro il Rookie of The Year, e le vittorie salgono a 38. Non bastano per i Playoff ma il salto di qualità è evidente.

La conferma arriva due anni dopo. Gli Hornets arrivano a vincere 56 partite e si classificano secondi nel selvaggio West: Paul viaggia a 21.1 punti e 11.6 assist di media, a cui aggiunge 4 rimbalzi e 2.7 palle rubate. Il dato più impressionante arriva dai compagni: David West, Tyson Chandler, Jannero Pargo, Bonzi Wells (onesti mestieranti ma non proprio la crema della lega) viaggiano a medie superiori ai loro career-high, chi per punti e chi per efficacia al tiro. Effetto Chris Paul.

Passiamo ai Clippers: un quinquennio senza la post season e una menzione d’onore tra le peggiori squadre della lega. C’è entusiasmo per Blake Griffin, ala dallo straordinario atletismo e dalle ottime qualità offensive, ma poco altro. Arriva Paul: sei anni consecutivi ai Playoff, tre semifinali di Conference, sei giocatori in doppia cifra a stagione. Nasce Lob City.

Dopo il passaggio di Paul ai Rockets? Due anni senza neanche l’ombra dei Playoff. Nel mentre Houston stava per diventare la squadra capace di eliminare i Golden State Warriors delle meraviglie, forse la squadra che più di tutte ha impensierito la compagine di Curry, Durant e soci.

L’ago della bilancia rimane sempre lui. Con lui in campo i Rockets sono 3 a 2 nella serie. Dopo il suo infortunio l’inerzia cambia e gli Warriors si aggiudicano le finali di Conference. Nonostante l’amore con Harden non sia mai sbocciato, Paul è arrivato ad una partita dalle sue prime Finals. E l’orologio continua a ticchettare.

Arriva a OKC a trentaquattro anni, con l’etichetta di giocatore ormai nella fase calante della carriera e in attesa di una stagione di transizione con i Thunder. Oklahoma ha lo 0.2% di possibilità di centrare i Playoff, secondo i bookmakers. Tradotto nella lingua di Paul? 44-28 di record; quinto posto ad Ovest; Gallinari, SGA, Adams e Dort a viaggiare forte; nuova convocazione per l’All Star Game dopo tre anni di assenza.

I Thunder perdono al primo turno in sette partite proprio contro i Rockets, ma per una franchigia che doveva essere un porto di passaggio è un traguardo enorme. Inutile dirlo, effetto Chris Paul.

I Phoenix Suns

Diventato uno dei nomi più caldi del mercato 2020, Paul decide di accasarsi ai Phoenix Suns, nonostante nomi più accattivanti sul piatto. La scelta viene criticata, anche derisa da alcuni. Basta, ha deciso di svernare, di chiudere la carriera al caldo senza faticare troppo.

Phoenix non vede i Playoff da dieci anni, nonostante una buona costruzione al Draft che ha messo insieme Devin Booker, DeAndre Ayton e Mikal Bridges. Le speranze sono quelle di arrivare timidamente in post season per regalare un po’ di esperienza al core giovane. L’effetto CP3 vale un po’ di più.

51 vittorie e 21 sconfitte, quinti per Offensive Rating, noni per Defensive Rating e terzi per Net Rating. Booker può concentrarsi sullo scoring, Ayton prende consapevolezza dei suoi mezzi, Bridges alza la media punti da 9 a 14. Chiudono secondi nella Western Conference, garantendosi il posto ai Playoff.

Da lì in poi perdono quattro partite su sedici, due con i Lakers e due con i Clippers, sulla strada verso le Finals. I Denver Nuggets dell’MVP Nikola Jokic vengono spazzati via senza il minimo riguardo. I Suns raggiungono quindi le Finals per la prima volta dai tempi di Charles Barkley, nel 1993.

Phoenix viene sconfitta in sei gare dai Milwaukee Bucks di Giannis Antetokounmpo, dotato di uno strapotere fisico e tecnico troppo difficile da arginare. La franchigia del Wisconsin è costruita per quello, i suoi principali interpreti si conoscono a memoria. Nulla di tutto questo toglie meriti ai Suns, una squadra che non sarebbe nemmeno dovuta essere lì a giocarsi l’anello.

Al quarto posto…

E dalle Finals della scorsa estate arriviamo ad oggi. Phoenix nella notte ha battuto i Chicago Bulls, terza forza della Eastern Conference. Chris Paul ha messo a referto la venticinquesima doppia doppia su cinquantatré partite, per la vittoria numero 43 in stagione. I Suns non sono solo primi nella Western, sono la miglior squadra della lega a tutti gli effetti.

In tutto questo CP3 comanda la NBA negli assist (10.4) ed è secondo per palle rubate (1.9). La media odierna è di 15 punti, 4.5 rimbalzi e i già menzionati assist e steals. Ed è quarto nella corsa MVP.

Ora, numeri individuali alla mano, i tre candidati davanti a lui stanno mettendo a referto statistiche migliori. Nikola Jokic sta viaggiando in linea con la sua annata da MVP, e ha al momento il PER più alto mai registrato nella storia NBA; Joel Embiid comanda la lega per punti (29.3, career high) ed è al massimo in carriera per assist a partita, 4; Giannis Antetokounmpo è la solita forza incontrastata che sta guidando i Bucks al secondo posto nella Eastern. Ognuno di loro ha pieno diritto di essere lì.

Ma guardando complessivamente la stagione fatta dai Suns, come stanno giocando i suoi compagni, la sicurezza messa in mostra, il record di squadra e anche, giustamente, le statistiche individuali, non sarebbe giusto vedere Chris Paul sollevare il trofeo? Nei suoi due anni da MVP proprio a Phoenix, Steve Nash aveva medie non lontane da quelle di CP3, e nemmeno il miglior record della Conference.

Dovunque abbia giocato c’è sempre un pre Chris Paul e un post Chris Paul, a testimonianza del valore effettivo che ha e che ha avuto nelle varie franchigie e anche quest’anno non si sta dimostrando diverso. Vederlo chiudere senza un anello e senza un trofeo MVP non sarebbe certo una macchia sul suo straordinario curriculum, ma sarebbe un vero peccato e un’opportunità mancata dalla lega per premiare e valorizzare effettivamente un giocatore che sull’aggettivo “Valuable” ha costruito una carriera.

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