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NBA, i migliori giocatori europei di sempre

I giocatori europei che più hanno lasciato il segno: ecco la classifica dei migliori europei di sempre in NBA

Da quando la NBA ha subito l’espansione al di fuori dei confini del Nord America, abbiamo potuto ammirare giocatori provenienti da qualsiasi parte del mondo, anche dalle regioni più remote di Stati dimenticati dalle cartine geografiche.

Alcuni di questi sono ricordati per essere stati dei “bust” incredibili o per essere entrati in NBA solo grazie all’altezza, non di certo per le loro capacità balistiche; fortunatamente però, vi sono altri che hanno scritto la storia durante il corso degli anni e sono personaggi di cui difficilmente potremo dimenticarci.

Tra i vari capitoli del basket moderno e multi-culturale, ci sono dei giocatori europei (e non) che sono andati a vivere il sogno americano, o addirittura ad insegnare come si gioca con una palla a spicchi in mano e incantare le platee di tutti gli Stati Uniti.

Ecco a voi i migliori 12 giocatori europei, in ordine (soggettivo) dal meno influente al migliore all-time.

12 – Luka Dončić

In 75 anni dalla sua nascita, la NBA ha visto passare più di 600 giocatori Europei, seicento; eppure Luka Dončić, in quattro stagioni, si è già lasciato alle spalle praticamente tutti loro.

Il classe 1999 è considerato da molti addetti ai lavori il talento più cristallino degli ultimi anni… come dar loro torto? Lo si potrebbe capire guardando semplicemente i suoi numeri, ma probabilmente si perderebbe una buona parte della magia di Luka Magic.

Leadership, QI fuori dal comune e clutchness, combinati ai doni che gli Dèi del basket gli hanno fatto, lo hanno portato a vincere il ROY e ad imporsi nella top 10 della Lega; infatti, i 2 All-NBA first team e i 2 All-Star Game già disputati lo confermano.

Senza dubbio a fine carriera finirà almeno nella top 5 di questa classifica, e chissà, magari ruberà il trono all’uomo nell’immagine di copertina.

11 – Nikola Jokić

Discorso pressoché identico a quello precedente; per ora infatti, il Joker di Sombor si è guadagnato l’undicesima posizione di questa speciale classifica, ma a fine carriera lo troveremo sicuramente più in alto.

Non sarebbe neanche corretto definirlo un lungo moderno, perché lui è una cosa completamente a parte, che probabilmente non è etichettabile in nessun modo.
Nella storia di questo gioco, nessuno della sua stazza – 213 cm per 130 kg (pre festività ovviamente) – si è mai mosso con tale eleganza ed intelligenza cestistica.

Inevitabilmente, queste sue caratteristiche lo hanno portato a 2 convocazioni all’All-Star Game, 2 inclusioni nell’All-NBA first team e ad uno, strameritato, titolo di MVP della lega. Riuscirà a vincere un anello?

10 – Drazen Petrovic

Sul decimo gradino non certo per demeriti, quanto per la terribile sorte che ha voluto stroncare un talento simile a soli 28 anni. Draft 1986, lo stesso che porterà in NBA anche Arvydas Sabonis, entrambi scelti da Portland.

Drazen però debutta ufficialmente nella lega americana come rookie durante la stagione 1989-1990 e il suo spazio nell’Oregon è ridotto all’osso, così la svolta nella sua carriera avverrà con il passaggio ai Nets. Qui si ricorda una partita memorabile contro i Bulls di Jordan, un vero e proprio testa a testa che si concluse con la vittoria di His Airness, ma che consacrò Drazen come un giocatore che avrebbe dominato anche negli USA.

Per lui l’annata migliore fu anche la sua ultima da giocatore: infatti, nel 1993 ottenne la selezione nell‘All-NBA Third Team e, solo una “preferenza” per i giocatori autoctoni, gli vietò la convocazione agli All-Star Game. Il trio dei New Jersey Nets comprendente Coleman, Petrovic e Anderson fu più volte citato come il più interessante ed elegante da veder giocare negli anni 90′.

9 – Arvydas Sabonis 

Se Sabonis avesse giocato nel suo “prime”, oggi Portland avrebbe 4, 5 o forse 6 anelli di più.

Come dare torto a Clyde Drexler? Non si era mai visto un omone di oltre 2 metri e 20 con mani fatate e abilità da playmaker, unite al sapiente gioco da pivot e alla forza fisica.

Il lituano fu scelto nel 1986, ma per via delle restrizione imposte dall’Unione Sovietica, poté debuttare in America solamente 10 anni dopo, quando ad oltre 30 anni di età il suo corpo aveva subito due gravi infortuni.

Nonostante questo, qualche mezza soddisfazione se l’è tolta, come essere inserito nell’All-Rookie First Team nel 1996, arrivando secondo per i premi di Rookie of the Year e Sixth Man of the Year. Qualche anno più tardi è andato ad un soffio dalle Finals, perdendo una finale di Conference contro i Lakers del three-peat solo in gara-7.

Per lui un posto nella Hall of Fame fu obbligatorio, poiché nonostante non abbia portato a casa anelli o premi individuali di sostanza, ha dimostrato al mondo cos’era in grado di fare con quei 221 cm.

8 – Predrag Stojaković

Una responsabilità stare sopra a due leggende come Petrovic e Sabonis, ma il fattore determinante è dovuto dall’anello vinto e dai numero anni trascorsi nella Lega.

Peja Stojakovic è un giocatore che ha portato il concetto europeo di tiro da 3 nella NBA, uno dei più raffinati e affidabili tiratori dalla distanza, con la piccola sfortuna di non essere riuscito a portare un anello a Sacramento (come terzo violino del team) ed essersi fermato troppo presto con gli Hornets di Paul, Chandler e West.

Per fortuna, nel 2011 WunderDirk gli ha regalato questa gioia e il serbo ha potuto dormire sonni tranquilli.

7 – Marco Belinelli

“Maaaaaammaaaa miiiiaaaa Marcooooo Belineeeelliiiii” così gridano i commentatori ogni volta che il nostro ragazzo di San Giovanni in Persiceto spara triple, aggiungendo anche un’istrionica descrizione delle sue “spicy meatball with sauce”, insomma secondo gli americani, Marco tira delle polpette che finiscono in fondo alla retina.

Per Gregg Popovich, Belinelli è il giocatore più adatto in uscita dalla panchina, perché fa quel che gli dice di fare e adora le sue polpette, specie se hanno il gusto della vittoria.

L’orgoglio d’Italia (non me ne voglia Gallinari, avrebbe meritato anche lui di essere presente in questa classifica) ha vissuto un’epifania nel 2014, vincendo prima il 3-point contest agli All-Star Game e poi il titolo NBA come giocatore del sistema Spurs.

Non mentite dicendo che alle parole “nessuno credeva in me… e alla fine ho vinto” non avete versato nemmeno una lacrima per la gioia e per la commozione.

6 – Marc Gasol

Un giocatore adorabile, un uomo dal cuore talmente grande da volerlo abbracciare, il suo viso da orsacchiotto non può destare antipatie. Praticamente è perfetto. Aiuta le persone in difficoltà, scherza con tutti, etica del lavoro impeccabile ed è un giocatore da Hall of Fame per la NBA.

Il titolo vinto con i Raptors nel 2019 e la vittoria del mondiale nello stesso anno, sono i segni che non è mai troppo tardi per sperare di vincere, specie se il pubblico e gli addetti ai lavori continuano a paragonare la tua carriera a quella di tuo fratello maggiore.

Marc ha iniziato con i Grizzlies, portando insieme a Conley e Randolph un basket nudo e crudo, chiamato “grit ‘n grind”, avendo avuto la fortuna e forse il merito di portare una cenerentola al ballo delle finali di Conference.

Il più piccolo dei Gasol ha anche un titolo di Defensive Player of the Year e 3 convocazioni agli All-Star Game; ok non è Pau, ma diamo merito alla famiglia che ha sfornato due campioni eccezionali.

5 – Giannis Antetokounmpo

Non partite subito in quarta dicendo che è il giocatore più forte della storia, che potrebbe diventare anche meglio di LeBron e che questo quinto posto è falso e dato solamente per antipatia o per la sua giovane età. NO!

Giannis è probabilmente il giocatore più interessante e potenzialmente il più forte dell’intera NBA, una scultura di oltre 210 cm dotata di tiro, atletismo, visione di gioco, rim protection e un’altra lista infinita di aggettivi e meriti, ma proprio per la sua giovane età non può essere considerato ancora tra i primi 3.

I motivi? C’è chi ha vinto molto più di lui, chi ha saputo dimostrarsi vincente fin da subito e chi, anche grazie ai propri compagni, sta nuotando nei trofei descritti dal suo palmarès.

Il greco ha all’attivo – oltre che un anello e una statuina da MVP delle Finals – due MVP, un Most Improved Player e un Defensive Player of the Year e, se lo vediamo solamente in quinta posizione rispetto a chi ha giocato già un’intera carriera è perché, nonostante i 26 anni, il suo destino è quello di affiancare Zeus nell’Olimpo.

4 – Toni Kukoč

Di recente è stato considerato il vero “three” nel “big three” dei Bulls di Jordan. Le varie testate giornalistiche americane che si occupano quotidianamente di basket, parlano di quanto sia stato influente Kukoc per il gioco di MJ e Scottie Pippen.

L’ala croata ha portato a casa tre anelli, quelli del secondo avvento, curioso averlo fatto da miglior sesto uomo della Lega nel 1996; in sostanza quando c’era bisogno di lui, si alzava dalla panchina, si toglieva la tuta, entrava e garantiva alle “riserve” di Chicago prolificità.

Il detto “timbrare il cartellino” cuciva perfettamente con le sue caratteristiche e con il suo modo di giocare, state certi che in NBA non troverete altro europeo più decisivo di Toni quando si parla di punti dalla panchina.

3 – Tony Parker

Terzo posto sul podio al francese degli Spurs. Uno dei playmaker più letali decisivi nella storia della franchigia texana, nonché una delle migliori spalle di sempre. Un titolo di MVP delle Finali, 4 anelli, 6 volte All-Star, maglia numero 9 ritirata e potremmo anche aggiungere Eva Longoria, per chi avesse visto anche solo di sfuggita un episodio di “Desperate Housewives”.

Il core di giocatori non-americani scelto dal signor Popovich è una delle storie più incredibili da raccontare e Parker, così come Ginobili, non erano stati selezionati per essere le stelle di una dinastia, ma giocatori di sostanza per cambiare il gioco in corsa.

Ai posteri l’ardua sentenza, nel frattempo possiamo affermare con certezza che Tony sia stato il precursore degli altri transalpini che hanno calcato i parquet della NBA e uno dei giocatori europei più influenti nella storia del gioco, al pari del prossimo di cui parleremo, con cui ha condiviso anche l’anno di Draft.

2 – Pau Gasol

Il maggiore dei Gasol e il più vincente, ma non è solo per la sua bacheca che si è guadagnato la seconda posizione in questa speciale classifica. Pau, oltre ai 2 anelli, le 6 convocazioni agli All-Star, il Rookie of the Year e il premio vinto per il suo servizio e la sua dedizione verso la comunità, ha fatto molto altro.

A Memphis ha dato un motivo ai tifosi dei Grizzlies per riempire il palazzetto e ha aperto gli occhi al pubblico americano sul fatto che esistano altri stati in cui si conosce il basket, oltre al loro.

Non ha guadagnato tanto in termini di gioie, ma ha fatto sì che un certo Kobe Bryant lo volesse ai Lakers per costruire una squadra da anello e non come compagno di burle, ma come vero e proprio secondo violino o come “defensive go-to-guy”, senza sminuirne la sua importanza come giocatore.

Gasol ha messo la Spagna sulla mappa della NBA e fino ai suoi recenti problemi al piede che lo hanno deteriorato, è sempre stato la prima scelta in termini di giocatore che può aiutare una squadra a crescere e/o a vincere.

1 – Dirk Nowitzki

Inevitabile e unanime scegliere il tedescone come primo indiscusso di questa lista. Un giorno dovranno scriverne un libro e farne un film, perché la sua carriera e come lui sia diventato il simbolo di una città hanno l’obbligo di essere raccontati sul grande schermo.

Parliamo di un giocatore “for the ages”, il primo europeo capace di vincere il titolo di MVP della regular season, ha portato una franchigia come Dallas sul tetto del mondo ancor prima di vincere l’anello, ha creato un tiro poi copiato da alcuni tra gli scorer più forti ancora in attività.

Nowitzki è l’anima e l’essenza del basket europeo, non ha dovuto imbastardire il suo gioco per farlo apprezzare, gli è bastato sgomitare tra la folla di giocatori proveniente dal college e dimostrare che ci sono più modi per rendere la pallacanestro universale. 

21 stagioni con la stessa canotta, un record, una bandiera, ha dato lo stampo europeo ai Mavericks passando il testimone a Luka Doncic e spingendo per far salire a bordo il lettone Porzingis. A Dallas hanno intitolato una strada a WunderDirk e la comunità lo ama e lo venera; noi, dimentichiamo per un secondo le origini teutoniche e lo adoriamo per quello che ci ha regalato.

Ah, dimenticavo, i trofei e i riconoscimenti: 1 titolo NBA, 1 titolo di MVP e 1 titolo di MVP delle Finali, 14 selezioni per la partita delle stelle, compagno di squadra dell’anno, inserito più volte nei vari All-NBA First, Second e Third Team, è parte del club ristretto dei 50-40-90 (percentuali nei tiri dal campo, da 3 e liberi), è il giocatore europeo con più punti segnati nella storia della NBA e sesto di sempre con 31.560.

Il 5 Gennaio 2022 i Mavs ritirano la numero 41.

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