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Breve storia di Fred VanVleet

La rivincita della classe operaia passa dalle mani del prodotto di Wichita State, arrivato a Toronto per trasformarsi da ranocchio a principe azzurro

Iniziare con questa citazione non è un caso. Gilbert Arenas disse quella frase poiché per lui gli addetti ai lavori non ebbero parole lusinghiere, tanto che pronosticarono di vederlo zero minuti in NBA.

Quando nessuno crede in te, tu credi in te stesso.

Gilbert Arenas

Lui decise di credere in se stesso e scelse la maglia numero 0 come risposta a quell’affronto. Forse VanVleet vestendo un numero pesante come il 23 avrà voluto mostrare a tutti che pur non essendo stato scelto al Draft, avrebbe potuto diventare un vincente come Michael Jordan o LeBron James.

Dopo aver trascorso l’intera stagione 2016-2017 in D-League, diventando campione con i Raptors 905, FVV ha deciso di non spendere un minuto di più nella lega di sviluppo passando al piano superiore, dove i “veri” Raptors stavano lottando per il dominio della Eastern Conference.

Il titolo conquistato nel 2019 è solo la punta dell’iceberg nella trasformazione del nativo di Rockford, che scommettendo su di sé e migliorando giorno dopo giorno, è diventato un totem a Toronto, certificato con il record franchigia di punti segnati: 55.

1999

Siamo alle porte del nuovo millennio, la curiosità per le future tecnologie e lo sviluppo dell’ambiente circostante porta via la maggior parte del nostro tempo. Entrare in una nuova era ci affascina, tra teorie del complotto e realtà consolidate, la lista delle domande che ci poniamo nei confronti della vita aumenta in maniera esponenziale.

Al cinema escono film che affrontano tematiche serie come il bipolarismo in “Fight Club” (tratto dal celebre romanzo di Chuck Palahniuk), l’abuso di potere nelle carceri ne “Il Miglior Verde” con protagonista uno splendido Tom Hanks e ultimo della nostra lista, “The Matrix” che risponde in maniera fantascientifica ai nostri quesiti sugli anni 2000.

Non c’è solo il cinema: negli Stati Uniti due ragazzine dal talento sconfinato come Britney Spears e Christina Aguilera stanno infuocando le heavy rotation musicali, mentre in Italia, un giovane Cesare Cremonini incanta una generazione intera con “50 Special” e Gigi Dag si consacra sempre di più Re della vita notturna. Il 1999 sembra un anno perfetto.

Quello appena raccontato sembra un delirio, una favola, in realtà è solamente un quadro fittizio che nasconde un annus horribilis, in cui aerei precipitati, uragani, incidenti nucleari e altre catastrofi sono solo il preludio ad una serie di disastri peggiori che accadranno nel corso del terzo millennio. Probabilmente questo è il 1999 vissuto da un piccolissimo Fred VanVleet, che ad appena 5 anni si vede privare del proprio padre, ucciso a colpi di pistola per le strade di Rockford, in quello che a tutti gli effetti sembra essere uno scambio di droga finito nel peggiore dei modi.

Il piccolo cresce tra le strade di periferia, la sua valvola di sfogo diventa la pallacanestro, ma essere il figlio di un padre nero assassinato e una madre bianca sola complica ulteriormente la situazione, ogni giorno viene vissuto come una lotta per la propria sopravvivenza. Comincia così il percorso da uomo di Fredderick Edmund VanVleet, da underdog, da emarginato, costretto a chiudersi in se stesso per fuggire ai drammi che porta in dono l’esistenza.

Lui non si arrende, vive con rabbia la scomparsa del padre e combatte per avere un futuro diverso e di lì a poco, la sua passione per la palla a spicchi porterà felicità all’interno del nucleo familiare.

Chi sarebbe questo Joe?

“Mamma, chi sarebbe questo Joe?” domanda un VanVleet teenager nel momento in cui sua madre Susan inizia a frequentarsi con il primo uomo dalla morte dell’ex marito. Joe è Joseph Danforth, un poliziotto in pensione con la passione per il basket, un uomo di mezza età che bazzica nei dintorni del playground in cui Fred sfoga la sua frustrazione e migliora le skills nel ball handling e nel tiro dalla lunga distanza.

Quello che rovina l’attitudine del giovane è un carattere difficile, introverso e per certi versi riottoso; non aggredisce i propri avversari a mal parole o mettendo le mani addosso, semplicemente non ascolta nulla di quello che dicono sua madre e gli allenatori.

La mancanza di una figura paterna al suo fianco lo rende irascibile non appena gli viene imposto un codice comportamentale e Susan, che deve giocare non solo il ruolo di madre, viene presa dai sensi di colpa quando dalla sua bocca esce un rimprovero più aspro o paragona il figlio al padre.

L’uomo sarà la risposta alle turbe dell’adolescente, che vedendo il sorriso sul volto di sua mamma e qualcuno determinato a disciplinarlo anche lontano dai 28 metri, inizia a mettere la testa a posto e vivere secondo le regole imposte in casa. In casa il regime è quasi militare: Joe costringe Fred a svegliarsi alle 5 tutte le mattine e ad indossare un giubbotto dal peso di 15 chili quando deve allenarsi. Grazie al rigore del poliziotto in pensione, il miglioramento è sostanziale e VanVleet non solo dimostra uno spiccato talento tra i banchi di scuola, ma anche con la palla in mano.

Ancora una volta il carattere difficile del ragazzo esce fuori: i voti alti ottenuti gli consentono di entrare nel gift program dell’istituto dedicato agli studenti più brillanti, ma lui chiede di essere tolto da quell’albo per non essere etichettato come un secchione; sul parquet più volte redarguisce i compagni e li accusa di non impegnarsi abbastanza.

Vuole rompere quella maledizione che aleggia su Rockford, conosciuta dai media più per la cronaca nera che per produrre star della pallacanestro.

Bet on Yourself

Fred è cresciuto, ma la sua fama di ragazzo difficile continua a perseguitarlo. Il college di Southern Illinois lo scarta dopo il primo colloquio che sembrava essere filato liscio come l’olio, allora il classe 1994 opta per Wichita State. Nessuno crede nelle sue capacità, tutti giudicano il libro dalla copertina e all’apparenza è terribile, sgualcita e mostra i segni del tempo, però nessuno si rende conto della sua rarità.

Nei quattro anni di università FVV insegna basket e porta il suo ateneo a risultati mai visti prima: nel 2013 raggiunge le Final Four della March Madness, si laurea MVP della Missouri Valley Conference nell’anno successivo e in quello da senior, le sue prestazioni in campo migliorano di anno in anno e vanno di pari passo con le sue capacità da studente.

Si laurea in sociologia e diventa molto richiesto come conferenziere dopo aver tenuto vari discorsi, tra cui quello motivazionale nel liceo in cui si è diplomato. Fred VanVleet è diventato un uomo, è cresciuto fisicamente e mentalmente: le esperienze in strada hanno reso più larghe le sue spalle, mentre il college ha plasmato la sua anima, preparandolo al grande salto verso la vita e verso il sogno chiamato NBA.

La festa era pronta, dopo la laurea a Wichita State era tutto organizzato per il Draft NBA. Gli invitati in casa VanVleet erano parecchi, tra amici e parenti lo spazio sembrava essere terminato, quello che sarebbe stato complicato finire in una sola serata era il quantitativo di alcolici, di cibo e bevande per brindare e gozzovigliare in onore di Fredderick.

Adam Silver chiama un nome dopo l’altro, il primo giro termina e nessuno ha ancora pronunciato il nome del ragazzo di Rockford, ma lui non è preoccupato perché sa di essere indietro nelle preferenze delle franchigie. Una scelta al secondo giro non lo sconforterebbe, è abituato a lavorare per farsi notare e comunque poterlo fare in un ambiente come la NBA lo spronerebbe a trovare nuovi stimoli.

Quella chiamata non arriverà mai, nessuna squadra è disposta a prendersi in carico il carattere complicato della point guard, più facile gestire un ragazzo senza pretese propenso ad ascoltare senza polemizzare sul ruolo che gli viene assegnato. La famiglia si raccoglie intorno a lui e lo rassicura sul futuro roseo che lo aspetta anche fuori dai palazzetti; la risposta di Fred è inaspettata, invita gli altri a crederci e a rimanere sintonizzati sul “canale VanVleet”, perché lavorerà sodo e in poco tempo entrerà nella Lega.

The Underdog from The Underground

Scommettere su se stessi, questa è la risposta che giocatori come Gilbert Arenas, Fred VanVleet e molti altri hanno dovuto dare al mondo per ritagliarsi il loro spazio nella NBA. Quando si cresce in un contesto di strada, perdendo uno dei propri genitori e combattendo contro i pregiudizi del mondo, scrollarsi di dosso l’etichetta di “testa calda” è sempre complicato.

Il 22enne lavora sodo e ottiene un contratto con i Toronto Raptors dopo aver disputato un’ottima Summer League. Con i canadesi fa la spola tra NBA e G-League dove si laurea campione nell’Aprile del 2017; Dwane Casey l’anno successivo lo vuole in squadra per impiegarlo come sesto uomo e l’esperimento riesce alla perfezione, con VanVleet che fino all’ultimo si gioca la chance di portare a casa il riconoscimento.

Nella stagione 2018-2019 avviene una svolta incredibile che cambia radicalmente la storia della franchigia e del nostro protagonista: Nick Nurse, allenatore dei Raptors 905, che aveva già avuto a che fare con Fred, viene promosso e diventa capo allenatore di Toronto; l’arrivo di Kawhi Leonard rende la squadra una contender e Fred VanVleet viene inserito nel quintetto al fianco di Kyle Lowry. Il numero 23 diventa una pedina fondamentale durante le NBA Finals 2019, facendo ammattire l’imbattibile corazzata di Golden State.

In appena due anni passa così da undrafted a talismano della vittoria alzando due titoli di campione in quel di Toronto (G-League 2017 e NBA 2019). Il 23 Giugno 2016 è stato il turning point per la sua carriera: vedere che nessuna squadra aveva riposto fiducia nei mezzi del prodotto di Wichita State ha fatto scattare gli ingranaggi nella sua testa; da quel momento FVV si sarebbe accontentato di essere l’eterno sottovalutato, poiché chiunque sarebbe rimasto stupito nel vedere il suo vero valore. L’espressione della gente che rimane a bocca aperta sarebbe stata la più grande vittoria per Fred, anche dopo averlo visto stracciare i record della franchigia.


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