Breve storia di LaMarcus Aldridge

La trasformazione da magro ragazzino del Texas a mago del gioco in post. Portland, San Antonio e Brooklyn, il racconto del viaggio di LMA

Popovich e Lamarcus Aldridge

La notizia shock del ritiro tramite il suo profilo Instagram con una lettera in cui ha spiegato il disagio che l’ha colpito, poi i ringraziamenti alle squadre che lo hanno cresciuto come uomo e come giocatore.

LaMarcus Aldridge dice addio alla pallacanestro a causa di un problema cardiaco, certamente dopo quindici stagioni sul parquet c’è molto da raccontare; la carta d’identità dice 36 anni il 19 Luglio, ma non si è mai pronti per abbandonare all’improvviso un pezzo di se stessi.

Da poco tempo si era chiuso il capitolo con gli Spurs, un saluto meno cordiale rispetto a quanto ci si potesse aspettare, ma aveva incontrato il mutuo consenso. I Brooklyn Nets lo avevano accolto senza pensarci due volte, un veterano da affiancare ad un super team composto da giocatori di calibro incredibile come Harden, Durant, Irving e i protagonisti della Lob City che fu, DeAndre Jordan e Blake Griffin.

La carriera del ragazzo originario di Dallas è costretta ad interrompersi proprio quando il sogno chiamato finali NBA poteva concretizzarsi dopo quindici anni ad inseguirle con insistenza. Il riassunto del suo cammino dice sette apparizione agli All-Star Game, due All-NBA Second Team, tre All-NBA Third Team, quasi 20.000 punti segnati, quasi 10.000 rimbalzi catturati e nove apparizioni ai play-off (5 con i Trail Blazers e 4 con San Antonio).

Fatte le dovute premesse, ripercorriamo anno dopo anno il cammino di LMA, da piccolo mandriano in quel di University of Texas ad affermato cowboy nel selvaggio Ovest della NBA.

Prodotto in Texas

Dallas, la terza città più popolosa del Texas e la nona degli interi Stati Uniti d’America. Qui nasce LaMarcus Aldridge, un ragazzo destinato ad essere oro nero per la pallacanestro dello stato, d’altronde non molto lontano da dove nasce la futura stella di Texas University vi è Fort Worth, città famosa per le risorse di petrolio, fonte principale di ricchezza per i mandriani del luogo. Il bambino non è poi così piccolo quando viene al mondo, 56 centimetri e quasi 5 chili, un parto normale solo per una come mamma Georgia, donna di quasi 1 metro e 90 e con le spalle larghe abbastanza da sopportare questo “fardello” per nove lunghi mesi e per crescere quasi in solitudine i suoi due figli.

Certo, perché papà Marvin, un omone di quasi due metri, tende ad alzare troppo spesso il gomito e poco si cura della famiglia che lo aspetta a casa. Un talento cristallino del basket liceale, ma con troppa poca testa per rimanere su livelli alti e con il vizio della bottiglia arrivato velocemente, forse per la frustrazione di non essere diventato una stella della palla a spicchi.

LaMarcus è un grande fan del football americano, ma la famiglia preferisce spingerlo verso il parquet e i canestri, nonostante le sue capacità palla in mano siano parecchio limitate anche a causa di una coordinazione non proprio formidabile.

Nelle sfide uno contro uno con il fratello LaVontae, di sei anni più grande, non c’è storia: ogni partita è un’umiliazione, quando il maggiore lo porta a giocare con gli amici è visibilmente il più scarso in campo, fatica in ogni fondamentale e non riesce ad avvicinarsi mai al canestro. La scuola sembra la sua vocazione, i voti sono alti e il suo rendimento lo porta ad essere uno dei migliori studenti dello stato.

Quando la pubertà fa il suo dovere, Aldridge cresce sia in statura sia nella struttura fisica, aggiusta i suoi movimenti e migliora la coordinazione. Riprova così a mettere piede sopra un campo da basket e i risultati sono completamente differenti dall’ultima volta: migliora il gioco in post, diventa un rimbalzista eccellente e finalmente vede il canestro con più lucidità. Si ispira al suo rivale del liceo, un tale di nome Chris Bosh che di lì a poco verrà scelto dai Toronto Raptors.

Studiando i video delle sue partite lima ogni difetto, la sua trasformazione in rim protector e miglior marcatore della squadra è incredibile, al punto che al termine del suo ultimo anno di liceo sono numerosi i college a corteggiarlo.

LMA sceglie i Longhorns del Texas, sebbene l’idea primaria fosse quella di non frequentare il college e dichiararsi eleggibile per il Draft del 2004, compiendo il salto direttamente dal liceo alla NBA. A farlo desistere da questo pensiero è Shaquille O’Neal che gli consiglia di giocare almeno un paio di anni all’università e proseguire con i suoi studi, vista la facilità con cui ottiene ottimi voti.

Inoltre un problema alla schiena sembra limitarlo e le franchigie disposte a spendere una pick molto alta per lui si tirano indietro, così il giovane Aldridge gioca dal 2004 al 2006 con l’ateneo texano prima di fare il salto verso la meta ambita.

With the 2nd pick…

…in the 2006 NBA Draft, the Chicago Bulls selects LaMarcus Aldridge from the University of Texas.

Lo sceglie la squadra dell’Illinois, ma arrivata un’offerta generosa dai Portland Trail Blazers non ci pensano due volte e lo spediscono nell’Oregon. In uno dei draft più “maledetti” nella storia del gioco, Aldridge risulterà essere l’unico (insieme a Rudy Gay) ad avere una carriera longeva nella Lega.

Eppure il viaggio non comincia nel migliore dei modi: la squadra che lo sceglie, come già anticipato, lo baratta in cambio della quarta scelta e spiccioli; il team dove si ritrova a giocare è famoso per essere stato ribattezzato in “Jail Blazers” a causa del comportamento a dir poco focoso dei componenti del roster; infine la sua stagione da matricola si ferma anzitempo, poiché gli viene diagnosticata la sindrome di Wolff-Parkinson-White, un disagio cardiaco che lo costringe a saltare le ultime otto partite della stagione.

Durante il draft successivo, il non lungimirante front office di Portland scarta la possibilità di scegliere con la numero uno Kevin Durant (che per giunta ha preso il testimone di Aldridge alla University of Texas) optando per il centro da Ohio State, Greg Oden. La paura di LaMarcus è che la decisione di puntare su un altro lungo sia una bocciatura nei suoi confronti, ma una brutta frattura da stress costringe la prima scelta a saltare l’intera stagione, lasciando così al nativo di Dallas il ruolo di prima scelta difensiva dei Trail Blazers.

Sebbene sul finire del 2007 una fascite plantare lo costringa ai box, LMA disputa un’ottima stagione individuale, finendo al terzo posto nella classifica del Most Improved Player of the Year.

Dalla stagione 2008-2009 in avanti, il ruolo di Aldridge all’interno della franchigia diventa centrale: migliora la sua attitudine difensiva e affina le sue soluzioni offensive; gioca i play-off per la prima volta in carriera e non salta nemmeno una gara di regular season per infortunio; rinnova per cinque anni a 80 milioni di dollari complessivi insieme al compagno Brandon Roy e complice un season ending injury che ferma la carriera di Oden, il minutaggio aumenta in maniera esponenziale, rendendo LaMarcus il go-to-guy della squadra.

A Marzo del 2011 diventa il terzo giocatore dei Trail Blazers dopo Kelvin Ransey (1981) e Clyde Drexler (1991) a conquistare il premio di giocatore del mese; al termine della stagione arriva secondo dietro Kevin Love per il premio di Most Improved e con 135 voti viene inserito nell’All-NBA Third Team.

Ritiratosi anche Brandon Roy per problemi cronici alle ginocchia, Aldridge si prende sulle spalle ogni responsabilità. La squadra dopo aver giocato per tre stagioni consecutive la post-season è costretta ad abbandonarla a causa di un roster non eccessivamente competitivo.

Nonostante ciò, LaMarcus viene scelto come riserva agli All-Star Game per le due stagioni (2012 e 2013) in cui il team non gioca i play-off, confermandosi poi nelle tre annate successive, complice anche l’arrivo di un giovane Damian Lillard, voglioso fin da subito di riportare la squadra dell’Oregon ai piani alti.

Speroni e l’eredità di Duncan

La clessidra in quel di Portland ha esaurito la sabbia. Le ultime due stagioni di LaMarcus Aldridge con i Trail Blazers sono di alto livello: nel 2014, al termine di una stagione stellare, gioca una serie play-off contro i Rockets da non credere, diventando il quinto giocatore dopo Jordan, Iverson, McGrady e Jerry West a segnare almeno 89 punti nelle prime due gare della post-season.

Nella stagione successiva l’idea è quella di ambire alle finali di Conference, ma la rottura del tendine d’Achille di Wesley Matthews lo lascia ancora una volta troppo solo per vincere. I tempi sono maturi per salutare e il richiamo del Texas, suo stato natale, è troppo forte per non ascoltarlo.

Non c’è Dallas nel suo futuro, ma gli Spurs e offrono un quadriennale a 80 milioni di dollari e la certezza di prendere il posto di un Tim Duncan ormai sul viale del tramonto. Occasione troppo ghiotta per un ragazzo che, esclusa Portland, non aveva mai staccato il suo cordone ombelicale dallo stato più al sud degli Stati Uniti.

L’idea di giocare con il trio delle meraviglie e uno dei futuri volti della Lega (Kawhi Leonard) lo fa sentire importante, così non ci pensa due volte e mette nero su bianco quella firma che renderà felici entrambe le parti in causa. Il quintetto: Duncan-Aldridge-Leonard-Ginobili-Parker

Il sogno di conquistare l’anello si interrompe quasi subito, la giocata infame di Zaza Pachulia ai danni di Kawhi Leonard mette subito fine alle chance degli Spurs di giocarsi fino alla fine le proprie carte per accedere alle Finals NBA del 2017. Questo infortunio ha ripercussioni pesanti sulla franchigia, che si trova senza Duncan, con Parker e Ginobili pronti ad appendere gli scarpini al chiodo e un Kawhi ai box, anch’egli scontento per non aver realmente rinnovato il team rendendolo competitivo come un tempo.

Aldridge si trova inghiottito in questa spirale, spingendo il carro come unico uomo squadra, trovando i favori di coach Popovich, che però lo trasforma in un centro anni 90′, creando intorno al movimento Spurs la sensazione che la magia di un tempo sia in effetti svanita.

Con i nero-argento LaMarcus conquista altre due chiamate agli All-Star Game e la sua seconda selezione per l’All-NBA Second Team. Ai play-off le soddisfazioni sono effimere e Kawhi, ultimo baluardo del titolo 2014, viene scambiato con DeMar DeRozan. I due formano una delle coppie più anacronistiche del basket contemporaneo, giocando una pallacanestro old school fatta di mid-range jumper e penetrazioni al ferro.

Il lascito del numero 21 non è indimenticabile, un giocatore che ha funzionato più da collante con il nuovo gruppo di giovani piuttosto che da vero trascinatore; inoltre con l’avanzare del tempo, i problemi fisici (e cardiaci) hanno iniziato a tormentarlo ancor di più, costringendolo a vedere le partite seduto in panchina o sul divano.

C’è un ma in questa storia ed è giusto metterlo alla luce del sole. LaMarcus Aldridge per gli Spurs ha fornito dato tutto quello che il suo talento e il suo fisico potesse permettersi di dare, perciò nella maniera più corretta possibile va ricordata la sua prestazione memorabile contro gli Oklahoma City Thunder del 10 Gennaio 2019. Qui stabilisce il suo career-high in punti con 56 segnati nella vittoria al doppio supplementare per 154-147.

La terza prestazione migliore nella storia della franchigia texana (meglio di lui solo David Robinson con 71 e George Gervin con 63), una prestazione arrivata senza nemmeno un canestro dall’arco in perfetto stile vecchia scuola. A condire quella fantastica partita LMA mise a referto anche 9 rimbalzi, 4 assist e 4 stoppate, tirando 20/33 dal campo (60.6%) e 16/16 ai liberi (100%).

For the ages. LaMarcus Nurae Aldridge.


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